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Parole musicali

Alice’s Christmas Carol

È quasi Natale a Wonderland, con l’aria umida della città inondata di luci che fa sentire nostalgia della neve.

È quasi Natale ed il pomeriggio trascorre con un capitano coraggioso, giovane visionario, che parla di sogni e della ricerca della felicità alla sua squadra… e non sta per niente scherzando.

Un agriturismo perso nel niente della pianura, carrozze, cavalli, pareti gialle e ventisette paia di occhi che per qualche ora guardano tutte nella stessa direzione: il futuro.

Quello brillante e sudato, da costruire a cura di cuori ardenti e fiduciosi.

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in questa notte fantastica

San Siro, Milano, ventisette giugno duemilaquindici.

Fa un caldo boia oggi.  Son le otto di sera quando varchiamo i tornelli dell’ingresso 10, ci saranno 30 gradi e solo per caso non ci siamo squagliati sotto al giubbotto, sopra la moto. Beh, del resto, come ci vai ad un concerto di Lorenzo, se non con ‘la tua moto’?

Il prato ci accoglie, stupefatti, annegandoci di colore. Il cielo blu della mia Milano d’estate fa da contrasto alle travi d’acciaio rosso fuoco che svettano a coprire lo stadio e assieme da riverbero al fulminato giallo rosso blu del palco, rievocazione emotiva del mio Kandiskij preferito. Max si allontana un attimo, mentre io scatto panoramiche a raffica. Torna con una birra, la prima. In effetti ci voleva.

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Vita spericolata

sulle note filmate dal vivo di *Vita spericolata*

Pensare che quando ero giovane Vasco Rossi io non lo potevo soffrire…

Pensare che avevo una perfetta, regolarissima, vita piena di regole e noia e bei binari dritti dritti su cui correre senza sbagliare un colpo…

E poi pensare che, cresciuta pop e diventata jazz, mi son sentita dire ogni giorno, per tredici mesi: ‘Ascolta questo, ti piacerà’.

La mia storia con Vasco Rossi comincia così, con ‘L’altra metà del cielo’ postata via dropbox: ho sentito per la prima volta Incredibile romantica con una voce all’altro capo del telefono e ho capito.

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Milan l’è un gran Milan

Milano, venerdì, 17 CET.

Due ore a parlare di sicurezza dei dati in Italiano rallentato con uno spagnolo che sa di legge ma non sa di Italia. Un raggio di sole che aleggia sull’asfalto umido, l’A1 in riserva, la tangenziale che scorre sotto le gomme che corrono.

Un sonno incredibile, in corpo. Quasi bianca la notte prima, quella di Alice, tra le luci della vecchia Milano. E solo sogni a popolarla, nemmeno un incubo.

Un prosecco sul terrazzo, poi due, poi tre, scrivendo le note di una vita stonata dopo una tonante notte sintona.

Prosciutto, melone, prosecco, Amelie ed Alice, l’aperitivo con lo smalto lilla e verde. E un giro al fuori salone. Perché bisogna, necessita, solleva, allevia e giova.

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double shooting, dancing and deep

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Sulle note di Ti prendo e ti porto via

Annegata in undici mesi di lavoro matto e disperatissimo, avevo dimenticato le linee del mio viso, l’elasticità della mia apertura alare e la forza delle mie gambe. Succede poi però che la vita torna costantemente a se stessa, arrotolandosi come le onde del mare sulla battigia, e noi resilienti riprendiamo, ancora e ancora, la nostra forma originaria e, come dice un amico, diabolica (la mia).

Trascinata ad una festa, tornata a ballare, prima ho ricominciato a scrivere, poi a sentire e poi a guardarmi allo specchio. E mi sono accorta che mi sento in gabbia e che io in gabbia non ci voglio stare.

Mi sono accorta, soprattutto, che quel che vedo attraverso lo specchio (e guardo così di rado) è impressionante, come la mia vanità.

Sabato mi ha chiamata un amico, così, tanto per prendere un caffè, e invece siamo andati a pranzo fuori. E mentre gli raccontavo di come mi sento, innamorandomi di uno splendido pezzo di jazz che suonava in sottofondo, Paolo ha avuto una idea: ha trasformato la mia Ground Zero in un improvvisato set fotografico, ha scelto la musica, e mi ha dato un solo compito: balla!

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camminando ‘senza fine’

E’ stata una giornata lunghissima, così lunga che forse è iniziata ieri mattina, non oggi. Una giornata di riunioni, di voci, di esitazioni, di paternali, di pranzi rubati o saltati e di una infinità innumerabile di parole ascoltate e di rassicurazioni distribuite.

Ma è finita.

Adesso son qua, seduta sul tavolo della cucina della mia HBS (ndCh: Home by Seaside), ascolto Dalla e Toquinho che intonano le note che raccontano questa atmosfera e non lavoro.

No.

Stasera scrivo.

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l’anima, il sangue e le navi

Ci vuole così poco e così tanto per amare.

Ci ho investito, ricamato, inventato milioni di parole, eppure bastava una canzone.

Se penso ai miei giorni, lunghissimi, talora sterminati, ormai, ci voleva di guardare un’altra cosa che inizia e finisce, un bambino che sta per nascere, un uomo che sta per morire, una telefonata di tre ore, un sabato in silenzio, quel maledetto nodo in gola che non si scioglie.

Ci voleva che i ladri entrassero nella mia casa e la violentassero, portandomi via il ricordo luccicante della mia nonna e il mio bene più prezioso. Ci voleva di stare abbracciatissima a Chopin, che ha preso tanta paura e forse anche una brutta botta.

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Invito alla festa di fine estate con variazioni su note di Lorenzo

Potessi scegliere dove e come, organizzerei una festa di fine estate dove tutto comincia a girare: sulla riva del mare. Tutti a piedi nudi sulla sabbia umida, tra bicchieri di prosecco e sorsi di mojito, le braccia alzate e i capelli scomposti.

Mi hanno detto, però, che a Milano il mare non c’è.

Allora ho pensato: disegniamola noi, la riva del mare. Mettiamoci le onde che sbattono, il vento che soffia, il sale sulla pelle, l’acqua un po’ fredda. Mettiamoci la sabbia ruvida e il sole che tramonta. Mettiamoci un chiringuito e stiamo lì.

Ek-sistiamo. Fuori, sul margine tra noi e l’altro. Dove, davvero, essere e servire è divino.

Facciamolo con le mani aperte e i sorrisi spalancati, con i sensi più accesi, più vivi, come se fossimo antenne sul tetto: celebriamo la fine dell’estate assieme per portarci dietro il colore e il calore, così ci sarà sempre un gran sole a sorprenderci nel prossimo autunno.

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Estate

***Estate!***

Alice mette il naso sulla superficie bollente della padella: sa di verde e di rosso, di sale e pizzica leggermente. *Mm, profuma.**

Di cosa? Dici?

Di curve, terrazze, pieghe e vento nei buchi di vecchi jeans a zampa. Di questo sa.

Domenica d’agosto, un caldo boia. Un raggio di sole violento arde sul rosso dei piccoli frutti di melograno sul terrazzo. Un bicchiere di Gewurtztraminer riposa all’ombra del tavolo.

Il pranzo quasi pronto, la casa pulita, le due del pomeriggio. E Alice che assapora assieme la punta della lingua e il colore frizzante dei ricordi e aspetta di mangiare.

Liga che canta “Salviamoci la pelle.” Salviamoci la pelle, sì, quella dentro e quella fuori. Amor di sé, sorrisi e crema solare (quella buona).

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Va bene, va bene così

***ascoltandola, stasera…***

Cosa facciamo stiamo insieme stasera? Dai non andare via!

Beh, una sera almeno, quella giusta però, non sono andata via. O no?

Non inventare adesso un’altra scusa, un’altra…  un’altra bugia.

 Ehi ehi, un attimo… mai inventata una scusa, mai detta una bugia.

Non mi piacciono le bugie, soffocano le anime pulite col fango.

Me ne hanno dette tante, di bugie. Anche troppe.

Io non ne dico, e secondo me lo sai.

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