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storie serie

Delle ortensie e dei magneti

Poco più di due anni fa, in una freddissima giornata di gennaio, sono andata insieme ad Anna in visita al Cern ad ascoltare un professore di fisica nucleare che ci spiegava rudimenti della materia, possibili applicazioni della ricerca, episodi della storia infinita sul bosone di Higgs e ci mostrava i colori vivacissimi del Sincrociclotrone e le foto dell’immenso LHC che, come dicono loro, consiste in un anello di 27 km di magneti superconduttori per accelerare e far collidere le particelle subnucleari.

Ecco, quel giorno ho sentito una cosa che mi ha incuriosita. Il professore diceva che la ricerca pura ha (anche) delle applicazioni che io, da consulente, direi ‘industriali’. La ricerca nella fisica delle particelle è servita alla medicina per trovare una nuova cura del cancro.

In Italia, alla distanza di un giro in bici da casa (Segrate-Certosa A/R, 70 km), abbiamo uno dei centri di eccellenza del mondo. A Pavia.

Questa informazione è rimasta dormiente nel mio cervello fino a qualche mese fa, atta solo a ricordarmi di dimostrare ai compagni di università che non è vero, che avevo ragione io, che la ricerca pura non è una sega mentale per intellettualoidi frustrati, ma serve. Giova (all’umanità e/o al pianeta).

Mi sono accorta di loro quasi per caso, come la canterebbe Vasco, questa storia. Mi sono capitati tra le dita qualche mese fa, per un seminario sul GDPR, e, tanto per farci un gioco di parole, mi son rimasti vicini perché son ‘brava’. Così ho chiesto se mi potevano imbucare in una visita guidata, perché a me la faccenda della fisica delle particelle piace da quando mio padre mi ha regalato il libro di Lederman su ‘La particella di Dio’ ed ero proprio pischella (al secolo, non ero maggiorenne).

Così eccomi qui, stamani, con l’aria di quella bella e scema in mezzo a trenta studenti di fisica e bioingegneria, seduta in aula conferenze, ad ascoltare il racconto della storia e del lavoro della più bella fondazione in cui, nel mio lungo percorso di donatore di love capital e di esperto di non profit, mi sia mai imbattuta: la fondazione CNAO.

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del benessere e della missione

Ho incontrato una persona, oggi, che mi ha parlato (per lavoro) di un fenomeno che per lui è inconoscibile, da consulente: una startup innovativa a vocazione sociale. Mi son sorpresa a guardarmi mentre lo ascoltavo parlare: mai sentito niente di più familiare, invece.

Una startup.

Innovativa.

A vocazione sociale.

Cazzo. Mi è venuto un ricordo. L’ho ricacciato indietro.

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Anche stavolta, in qualche modo, arrivederci

Ground Zero, Sabato 12 gennaio 2013.

Stasera scrivo con un po’ di tristezza. Forse anche con un po’ di rammarico, in effetti: dei viaggi, degli incontri, delle occasioni della vita, una delle cose che mi piace di meno sono i saluti.

E stasera scrivo per salutare.

Oggi ho scritto la lettera con cui lunedì rassegnerò le dimissioni.

Vi scrivo ora, non allora, per essere serena e lucida nel guardare le cose.

Lunedì potrei uscirne frantumata, conoscendomi.

Lo saprete dopo, ma io lo faccio ora. E per una volta non schiaccio ‘invia’ senza pensare.

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Il tavolo dei Cooperatori

Non mi ricordavo più la sensazione di sedere ad un tavolo di cooperatori, di quelli veri.

Sinceramente, non me lo ricordavo più e sono rimasta piacevolmente sorpresa dalla sensazione della riscoperta di una cosa che per tanto tempo ha avuto così tanto senso e sembrava averlo perso completamente.

Una mail, due telefonate, ed eccomi lì, in un birrificio a Parabiago con una lista in cui scegliere tra almeno duecento birre, seduta ad un tavolo dove quello che c’è sul tavolo conta quasi zero. Tre ore di conversazione viva e fitta in cui la cena è solo il contorno necessario per non morire di fame e non l’oggetto della serata.

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in qualche modo, arrivederci

si viene e si va, cercandoci un senso, che poi alla fine il senso è tutto qua

Lunedì sera mi ha cercata Kati.
Lunedì sera mi ha cercata Kati e anche se è passato il tempo, e l’acqua sotto i ponti, e anche se le pagine si sono consumate e le cose sono cambiate e tutto scorre… anche se, anche se, anche se… mi sono ricordata di un posto che chiamavo casa.
C’era una volta un posto, e dicevamo che era in Zona 4, che era casa, lavoro, palestra e prigione. Un posto che era assieme accogliente e opprimente, che dava e pretendeva, che tratteneva, a volte per passione e a volte con le catene.

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