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Il tavolo dei Cooperatori

Non mi ricordavo più la sensazione di sedere ad un tavolo di cooperatori, di quelli veri.

Sinceramente, non me lo ricordavo più e sono rimasta piacevolmente sorpresa dalla sensazione della riscoperta di una cosa che per tanto tempo ha avuto così tanto senso e sembrava averlo perso completamente.

Una mail, due telefonate, ed eccomi lì, in un birrificio a Parabiago con una lista in cui scegliere tra almeno duecento birre, seduta ad un tavolo dove quello che c’è sul tavolo conta quasi zero. Tre ore di conversazione viva e fitta in cui la cena è solo il contorno necessario per non morire di fame e non l’oggetto della serata.

Come facevo tanti anni fa, così tanti che neanche ricordo quanti, mi sono trovata sola, unica al tavolo ad essere dotata delle famose competenze manageriali che al not for profit fanno tanta impressione e che tanto mancano, con tre ‘tecnici’ del sociale pieni di idee ricche, confuse e a tratti irrealizzabili, che però stavolta, a differenza che nella mia esperienza passata, sembravano prendere davvero in considerazione il mio parere professionale.

Beh, forse anche io sono cambiata in questi anni. Credo, spero, di essere cresciuta e di aver imparato a moderare il rigore e il trasporto. Sono quasi convinta di aver appreso come passare dei concetti al limite dello sconosciuto senza sembrare nè pazza nè saccente.

Io, la fighetta bocconiana con il master in economia e gestione delle aziende non profit, che  sono sempre stata guardata di traverso dagli ‘psico-socio’, come mi piaceva chiamarli.

Al tavolo dei Cooperatori stasera c’era un tecnico che faceva da guida teorica al gruppo, incanalando la conversazione nei binari e tenendo il punto, e due teste brillanti e fervide di idee che snocciolavano immagini, pinzimoni di azioni e punti di vista, approfondendo fiduciosi anche i temi più spinosi.

Abbiamo parlato di speranze, idee e possibilità, dell’ipotesi di lavorare per dare a qualcuno un futuro migliore.

Abbiamo parlato di territorio, di radicamento, di partnership, di godimento (più che di sfruttamento) delle relazioni fruttuose con il profit.

Abbiamo parlato di realtà e di logistica, di aspetti operativi di di angolature ideali.

Abbiamo parlato di obiettivi, risultati attesi e beneficiari diretti e indiretti, di azioni, di budget e di rendicontazioni ben progettate. Abbiamo discusso di contributi a fondo perduto, di cofinanziamento e di prestito, di Banca Prossima, di finanza etica, di concessioni trentennali di beni pubblici da sfruttare per costruire un luogo per la comunità, di protezione della fragilità individuale e di promozione della coesione sociale.

Dopo tanti anni, mi sono sentita di nuovo a casa. Mi sono sentita di nuovo nel mio elemento, in un contesto in cui davvero posso mettere a disposizione quella folle e sterminata competenza che ho costruito lavorando e studiando e che uso così poco, ultimamente.

Sono stata contenta di ritrovarmi a discutere di spazi possibili e di ipotesi realizzabili, anche se difficili, e mi sono sentita accettata e valorizzata.

Mi hanno chiesto ‘chi sei’ e ‘cosa ci fai qui’ e ‘perché dovremmo darti retta’. Sono stata presentata, è vero, e che presentazione altisonante, ma mi sono sentita comunque in dovere di qualificarmi e di definire in poche parole le mie capacità e i miei limiti.

Sono rimasta, soprattutto, sorpresa di riconoscere la stima di una persona con cui ho lavorato tanto, in passato, spesso in conflitto ma sempre costruttivo, e di poterla finalmente apertamente ricambiare senza essere fraintesa.

Dal tavolo dei Cooperatori mi sono alzata piena di energia, anche se la giornata è stata lunga e intensa, e ho ricomposto in pochi minuti il senso di tanti anni di lavoro che sembravano semplicemente dispersi nel tempo.

Abbiamo sciolto la riunione con impegni seri e un’agenda per i prossimi lavori, parlando concretamente di studiare la fattibilità prima che discutere di compensi.

Sono contenta, contenta perché nell’ultima settimana di questo febbraio bisestile con un venerdì diciassette e una data palindroma ho ritrovato una passione che pensavo smarrita e il senso di tante cose che ho fatto sull’onda dell’entusiasmo di discutere attivamente con persone intelligenti e motivate, paritarie, che hanno solo tanta voglia di fare.

Che belli, i tavoli di lavoro, quelli della cooperazione vera e del sociale che non si piange addosso, ma accetta la sfida evolutiva del cambiamento e della competenza manageriale, che è l’unica che so offrire e che, come dice il viceministro all’istruzione, da sola non serve proprio a niente.

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