San Siro, Milano, ventisette giugno duemilaquindici.
Fa un caldo boia oggi. Son le otto di sera quando varchiamo i tornelli dell’ingresso 10, ci saranno 30 gradi e solo per caso non ci siamo squagliati sotto al giubbotto, sopra la moto. Beh, del resto, come ci vai ad un concerto di Lorenzo, se non con ‘la tua moto’?
Il prato ci accoglie, stupefatti, annegandoci di colore. Il cielo blu della mia Milano d’estate fa da contrasto alle travi d’acciaio rosso fuoco che svettano a coprire lo stadio e assieme da riverbero al fulminato giallo rosso blu del palco, rievocazione emotiva del mio Kandiskij preferito. Max si allontana un attimo, mentre io scatto panoramiche a raffica. Torna con una birra, la prima. In effetti ci voleva.
Andiamo a cercare i nostri amici: punto di raccolta sul lato sinistro del palco, poco più avanti del tabacchi shop. E non troviamo nessuno.
Comincia male, in effetti: se non fosse che sono cinque mesi che aspetto questo giorno, la mia serata sarebbe rovinata. Due pezzi di cuore rimarranno fuori da San Siro perché abbiamo perso un biglietto, i telefoni non funzionano perché lo stadio non è coperto come dovrebbe, la birra è acquosa ed io non ho le chiavi di casa per tornare a Ground Zero… però qui ci fan ballare *Gioca Jouer* mentre aspettiamo le nove e mezza. Va tutto storto, va tutto storto, va tutto storto anche se io ballo Cecchetto ma poi?
Scende la luce, parte un filmato. E tutta la verità sta nelle parole di una Ornella Muti bellissima nella sua età importante, imbustata di un elegantissimo abito lungo in rosso, che appare ologrammatica come la Principessa Leila all’inizio di Guerre Stellari.
*Ristabiliamo il disordine.*
Sì!
*I baci sono sempre veri.*
Sìììììì!
E via, hic et nunc, San Siro si mette a gridare tutta assieme che pensa positivo.
Ci ha fatti sudare, ieri sera, Lorenzo. Ci ha fatti saltare, cantare, ballare, ridere e tenere sempre le mani al cielo. Ed eravamo almeno cinquantamila.
L’avran già scritta in mille, la scaletta del concerto. E non bastano i titoli elencati per ritornare lì: ci vogliono occhi chiusi, cuore aperto, mente accesa ed il ricordo di chi era accanto a me, col sorriso spaccato sulla faccia, e di chi non c’era, a cui ho raccontato emozione e sudore con la voce afona, i jeans fradici e i capelli arricciati, sparati per aria da troppa danza e tre viaggi in moto nel mio casco scuro.
La luna ci ha accompagnati tutta la sera, luminosa e vivida nel cielo che si è tinto di nero, splendendo da lassù tra le luci del palco e quelle del secondo e terzo anello, forte come la speranza di tante voci che cantano assieme: *che sembra tutto perduto, poi ci rialziamo!*.
E se ballare sotto la luna non capita spesso, quando mai può capitare di scoppiare di vita, saltando, mentre San Siro esplode in un grido di gioia e braccia al cielo gridando in coro che ‘*il più grande spettacolo dopo il big bang siamo noi*?
Ho tanti video che mi riportano lì, come se fosse adesso, come se il tempo potesse non passare mai. Lorenzo che canta *Bella*, e dice *Chiara, come un ABC*. Lorenzo che canta *Ora* e intona *non c’è scommessa più persa di quella che non giocherò*.
Io che penso, ricordo, immagino, sogno, desidero e rido e ballo e sudo e cerco come posso di condividere questa incredibile gioia con chi è dall’altro capo del filo, qualunque sia la sua sostanza.
E poi silenzio, sì.
Poi silenzio, perché con quel coraggio innato ed improbabile che hanno solo i guerrieri della luce, Lorenzo intona *Fango*.
Non avrei mai sognato che si potesse cantare in uno stadio una canzone così. Quella che parla di *un mondo vecchio che sta insieme solo grazie a quelli che hanno ancora il coraggio di innamorarsi e una musica che pompa sangue nelle vene e che fa venire voglia di svegliarsi e di alzarsi e di smettere di lamentarsi… che l’unico pericolo che sento veramente è quello di non riuscire più a sentire niente*. Non c’era Ben Harper, vero. Però, cielo, che band!
Da quel momento in poi lo stadio è impazzito. Dietro di me famiglie, con genitori e figli piccoli in spalla, e i bimbi che sorridono e cantano… accanto a me Max coi suoi due amici che non smette un attimo di ballare e non fa neanche una foto, tanto ci penso io… davanti a me Saturnino, col suo vestito bianco affondato nei colori e nelle luci del palco, a meno di cinque metri dalla mia faccia, che suona e cazzo quanto ride, coi suoi occhiali grandi.
Terzo, secondo e primo anello. Inondati di luce bianca.
Prato. Nudo. Che balla.
Terra che trema sotto le gambe. Nessuna altra esigenza che non sia essere lì.
Le voci che si fondono, il maxischermo che proietta immagini dal palco così definite e forti che sembra di essere a trenta centimetri, la musica che suona senza un attimo di sosta e il magico finale de *L’estate addosso* che mi travolge di passione.
Son rimasta da sola, gli altri sono andati a recuperare delle birre e in bagno.
Son rimasta da sola in mezzo a cinquantamila persone e ho avuto la certezza intensa e forte che ci so stare, da sola. Non ho più paura. Nemmeno un attimo. Ho ringraziato. Dio e i miei genitori, per avermi fatta così bella, io, l’estate addosso e la libertà. *Respira questa libertà.*
E poi mi son commossa.
*Respira questa libertà.*
Ho tre ricordi intensi della seconda parte del concerto (suddivisione che vale solo per me, come nella mia vita, tra il prima e il dopo la protezione zero spalmata sopra al cuore).
*Mi riconosci ho le scarpe piene di passi, la faccia piena di schiaffi, il cuore pieno di battiti e gli occhi pieni di te* e il pensiero che ho mandato lontano lontano, senza né scriverlo né dirlo, ma tenendomelo stretto dentro.
*Ogni cosa è illuminata! Ogni cosa è illuminata! OGNI COSA, OGNI COSA, OGNI COSA E’ ILLUMINATA! Esprimi un desiderio, Milano!*.
Ed io che, neanche più tanto timida, tra me e me, un desiderio lo esprimo, stavolta.
E per finire *Mezzogiorno*.
Ho guardato Max e gli ho detto: ti ricordi? te l’ho dedicata, tanti anni fa. E ce la siam cantata tutta guardandoci, per dirci che *ogni cicatrice è un autografo di Dio, nessuno potrà vivere la mia vita al posto mio. Per quanto mi identifichi nel battito di un altro, sarà sempre attraverso questo cuore*.
Il finale di concerto, beh, l’avete letto tutti. Lo sapete, c’eravate, e se non c’eravate è scritto dappertutto. San Siro ha risuonato delle note di *Ti porto via con me* per una buona mezz’ora, mentre cercavamo di uscire tra la folla, la ressa e la gioia madida di vita. E la sapevamo tutti a memoria, anche se ha tantissime parole difficili, quella manciata di ore da metterci dentro il delirio totale.
Ti porto via con me, lo sai vero, in tutte le notti fantastiche che verranno?
***
Il concerto è finito, noi abbiamo appena cominciato. Perché in questa parte di mondo la strada finisce e comincia la vita.
Un viaggio in moto fino alla Darsena. Un Gyros Pita di pollo sul Naviglio Pavese in sei, con la grazia del sorriso e della compagnia dei futuri sposi. Un altro viaggio in moto fino a Ground Zero, che per fortuna qualcuno mi ha aperto il cancello ed io ho ritrovato le mie chiavi di casa.
Un amaro del Capo, poi due. Una Sambuca, poi due, poi forse tre.
Ed io stesa sul pavimento del terrazzo, con la faccia da bimba, le gambe stanche, i jeans che cadono e le mutande rosa, a spiegare a Ciccio perché un concerto così è incredibile anche se sei nato proprio rock.
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Respira, respiro.
Ti porto via con me.
In questa notte fantastica, di questo inizio del mondo.