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camminando ‘senza fine’

E’ stata una giornata lunghissima, così lunga che forse è iniziata ieri mattina, non oggi. Una giornata di riunioni, di voci, di esitazioni, di paternali, di pranzi rubati o saltati e di una infinità innumerabile di parole ascoltate e di rassicurazioni distribuite.

Ma è finita.

Adesso son qua, seduta sul tavolo della cucina della mia HBS (ndCh: Home by Seaside), ascolto Dalla e Toquinho che intonano le note che raccontano questa atmosfera e non lavoro.

No.

Stasera scrivo.

Ho stappato il Vermentino dei Colli di Luni, ho abbracciato il gatto, mi son seduta e metto l’emozione in parola. La mia amata, benedetta, parola scritta. La più bella espressione della capacità generativa che io abbia mai esperito (finora).

Son tornata a casa con la testa che frullava troppo veloce anche per me: vorticosa, ingestibile. Ci ho pensato tre minuti. Mi sono tolta il mio ‘vestito targato P’ e messa quella preziosa attrezzatura per correre d’inverno, io che corro sempre e non vado mai a correre, seguendo il sapiente consiglio di alcuni di quelli che mi vogliono bene. Me l’han detto tutti i miei cari che devo mettere a terra lo stress usando il corpo, l’ho anche letto a caratteri cubitali sul libro dell’alimentazione su misura: noi del gruppo 0 siamo figli contemporanei degli antenati cacciatori: per viver bene ci vogliono proteine animali e intensa attività fisica. Ma Chi, io?! Evidentemente sì, io. Chiara.

Le cuffie nelle orecchie, la mia difettosa linea curva apparentemente invidiabile imbustata nei  pantaloni neri di gore, il giacchino antivento e solo le chiavi di casa in tasca.

Fuori piove.

Chissenefrega: piove poco e poi… hai visto che piove? Senti come viene giù, tu che dicevi che non pioveva più.

Questa giornata va messa a terra.

Va messo a terra il fatto che ero senza acqua calda e per una volta mi son risolta un problema idraulico da sola: ho scassinato la serratura rotta della porticina di metallo che protegge lo scaldaacqua sul balcone e l’ho riacceso. Ah! Sono diventata capace di usare le mani! Ho fatto la doccia calda, nella mia casa in riva al mare.

Non che la via del Commercio di Nervi sia il posto migliore per mettere a terra, neanche alzo gli occhi nella piazzetta che dà su via Gazzolo: son troppo concentrata sulle mille idee che mi sbatacchiano furiose nel cervello.

Che fare? Combattere? Forse sì.

Va messo a terra il traffico di corso Europa che mi fa sempre arrivare in ritardo in riunione. Direi che non è bello arrivare cinque minuti in ritardo ad una riunione improvvisata che dovrebbe durarne quindici. Peccato che è tanto e tale il calibro del tema e dei convitati che l’incontro perdura sette volte un quarto d’ora, e allora forse valeva la pena di esserci a sostenere la candidatura inconsapevole di un uomo preziosissimo a far qualcosa di cui è l’unico all’altezza (e che lo sa benissimo ma mica lo dice).

Va messo a terra che se voglio fare il Cammino di Santiago devo allenarmi e che ho cominciato stasera e neanche me ne sono accorta.

Solo che quando arrivo al Porticciolo di Nervi… belin, che vista la scoperta del rumore del mare. E d’improvviso, in faccia alle onde che rumorose si infrangono sugli scogli accanto alla salita di ciottoli, nelle cuffie suona ‘Senza fine’.

Ma non una qualunque, quella di Lucio e Ornella.

Quella che racconta al meglio l’amore come lo vedo io: più intenso che romantico, più jazz che tenue, più arancio che rosa.

Non mi importa della luna, non mi importa delle stelle: tu per me sei luna e stelle e però… che stellata stasera. Tutto quanto io voglio avere è sopra la mia testa, con una costellazione che non so riconoscere ma sembrerebbe lo Scorpione e il cielo nero, così nero, che lo vedi solo alle sette di sera sopra il mare d’inverno.

Dalla cima della prima salita, se mi giro indietro (ed io mi giro sempre, ma solo per ricordarmi da dove vengo) sbuca il porticciolo di Nervi nel suo piccolo, delicato, prezioso splendore di luci discrete e calde. Raccolto, quasi timido, diffidente come questi genovesi che con me son tanto ospitali. Faccio una foto, come posso esimermi?

Un’altra foto per lo Skywalker, che se non glielo dico io non mi leggerà mai e nemmeno mai guarderà le mie foto, che pretende di essere amato e che chieda di esserlo io. Mai chiederò di essere amata, non ci riesco. Spero sempre di essere amata, spontaneamente e neanche troppo discretamente, ma non si sa mai questo futuro strano dove vada. Magari va dove piace anche a me.

Son sulla passeggiata Anita Garibaldi, la grande moglie, che ascolto Ornella che canta e cammino veloce veloce, piena dell’acido lattico che solo l’individuo attivo che cerca invano di diventare sedentario può esperire. Guardo il cielo pieno di stelle, ascolto il fragore del rumore del mare che ulula. Senza fine, questo è un attimo senza fine, reinterpretato in jazz.

Piove, non so mica tanto dove sono. Ho la testa che va verso gli incarichi che dovrei lasciare per seguire questo come si deve, anche se nessuno me l’ha chiesto. Ma credo che questa sia una occasione: una grande e bellissima occasione.

Si propone silenziosa e timida, mica verbalizza, l’occasione. Son io che devo capire se c’è, cos’è, perché e se lo so fare. Lo so fare?

Una vita nella Milano da bere, che offre la più bella prospettiva professionale sulla riva del mare? I miei affetti lì, la mia attenzione qui, e il cuore che sta ancora decidendo se partire per l’Africa?

Senza fine… tutto quanto io voglio avere… camminando senza fine.

Camminando senza fine con le mie mani, mani grandi, mani senza fine. Così grandi che non mi sono neanche accorta di essere arrivata fino a Capolungo, che è molto più lontano della stazione di Nervi dove avrei dovuto girare per tornare indietro.

La passeggiata di Anita finisce all’Osteria del Duca. Vini piemontesi a ridosso di un ormeggio di barche che noi Veneziani avremmo chiamato ‘sandaletti’. Uno rosso, uno bianco, uno blu. L’0steria laggiù, una lampione a forma di lanterna dietro il muro: sembra di essere a casa, giù dal ponte che porta in Strada Nuova dalle parti di campo Santi Apostoli. L’ho già visto questo posto.

Ah no, qui non c’è la laguna, qui c’è il mare, d’inverno, che intona un urlo incredibile e svuota la testa.

Eccome, se la svuota. Mette tutto in ordine, il rumore del mare.

C’è una salita. La faccio? Non ho scelta.

Che bello, per una volta, non ho scelta e devo fare una salita. In cima a questa fila di gradini larghi e poco rapidi, ma tanti (quanti!) c’è un cartello: via Aurelia.

Eccomi, mia amata Aurelia che vai dal cuore al cielo. Eccomi, per come ti ricordo io, percorsa tante volte da Roma a Ventimiglia ed oltre, o viceversa o chissà mai.  Mia amata Aurelia, piena di curve, che mi riporti alle mie sorelle del mare che non vedo da troppo tempo, a quei giorni a Santa Marinella tanti anni fa, a quei ritorni da Roma verso ciò che amo e ad Erri De Luca che mi ha insegnato che *considero valore sapere in una stanza dov’è il Nord*. Mia amata Aurelia, e quante curve tagliate da Imperia a Cogoleto, io ed il mio stupido vecchio amore impossibile che mi ha insegnato ad amare.

Eccomi, mia amata Aurelia. Credi che ti percorrerò mai in moto in un tratto che sia un po’ più lungo della distanza tra Finale e Noli?

Non lo so, ma stasera ti percorro a piedi, sotto la pioggia, camminando veloce veloce anche se mi è venuta voglia di correre.

Non corro. Facciamo, per una volta, una cosa con calma. Cammino.

Veloce, come sono.

Cinquantanove minuti per uscire e poi ritornare a casa, l’altra mia casa. Due telefonate, alcuni gran pezzi jazz. Un sorriso, il cielo stellato, neanche una sigaretta.

La giornata che si è depositata sotto la gomma delle mie scarpe da corsa e non mi percuote più le tempie.

Una decisione impegnativa non richiesta che mi sento di prendere.

E l’infinito calore della voce di Lucio che canta che ‘senza fine, senza un attimo di respiro’ è l’attimo che voglio vivere per sempre.

Vi lascio la mia musica, amici miei, lettori, vi lascio la memoria emozionante di una splendida passeggiata, la prima di mille, sulla riva del mare. Vi lascio qui: ‘senza fine‘. Ascoltatela, fatelo per me (e forse un po’ anche per voi).

State in gioia.

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