La mia vita è fatta di cose difficili che, quando parlano, dissertano di sesso degli angeli: figli non miei di cui mi sento un riferimento, valutazioni di impatto sull’uso di informazioni personali di soggetti vulnerabili, mediazioni tra centri di potere (incompetenti) e centri di competenza (impotenti), analisi di problemi, proposta di soluzioni troppo intelligenti anche solo per essere malintese, ricorsi in tribunale, notai che parlano di imposte anziché di legittimità, inviti a serate di gala con cravatte nere perse nel baratro di case che non governo, gatti anziani con la demenza senile e giovani con la mielina a bomba. La mia vita è un casino, e come dicono tutti “tanto io sono un vulcano”.
Lo sapete cosa hanno in comune il fuoco, il vulcano, l’esplosione della dinamite e l’uragano, tutte parole con cui vengo appellata quando si parla della mia energia?
Si placano.
Io con loro. Oggi.
“Chiara, ma se a te non ti ferma niente e nessuno?!” (licenza poetica)
Già, tranne il tram contromano che ha ucciso Gaudì (l’architetto, non il GattoLino, che al momento sta benissimo).
Il confine, fuori dal guscio, tra me e il mondo finisce adesso, quando capisco che devo occuparmi di me, senza più permettere ad alcuno di dirmi ciò che dovrei essere, cosa dovrei tollerare o cosa non è accettabile che io ritenga inaccettabile.
C’è chi mi ha telefonato perchè, leggendo “Mappamondo”, ha sentito un urlo di dolore. Non ce l’avevo messo ma forse c’era, inconsapevole. Proprio dolore. Quello di una che, mentre di riconosce, capisce di essersi disconosciuta.
Anni e anni e anni di psicoterapia e non sei ancora capace? Già. Solo perchè è proprio imparare a prendere confidenza con i miei limiti che mi rende più aderente a Chi sono. Solo così mi autodetermino, alla faccia del milione di stronzi che vogliono piegarmi alla loro volontà.
Non mi piego, non mi spezzo e se sto concentrata neanche ci patisco più. Pratico lo yoga ed il distacco, per mantenere la mia personalissima alterità (ed adultità) e rimanere flessibile.
Una fatica abissale, però, che insieme al caldo e ad alcune scelte che hanno affaticato temporaneamente il mio benessere fisico mi rende debole – non fragile – e pallida.
Agli stronzi dico già subito che tra il pallore e la resa corre la stessa linea sottile che tacere e subire (cit. Liga).
Dalla teoria alla pratica, ho preso un sacco di botte anche stamattina: una donna più vecchia di me mi ha guardata (sul lavoro) con l’accondiscendenza con cui si osserva un neofita e mi ha fatto presente che io faccio fughe in avanti. Non ha capito che discutere di etica e trovare l’equilibrio nell’organizzazione per rispettarla richiede intelligenza sociale e cultura organizzativa. Non ha capito che lei è riconglionita e io ne so a pacchi più di lei. Secondo lei io non prevedo, proietto. Come se i verbi si equivalessero. E mi fa la lezione della esperta che dice le parole difficili senza conoscerne il significato (cita la 626!) per poi dirmi: Grazie Chiara, lei è davvero un uragano. Ma vaffanculo.
L’ha fatto anche un’altra donna stasera, sedicente medico, dicendomi che non mi amo e non mi occupo di me. Dice di sapermi curare, e non ha neanche capito cosa mi faccia star male. Cerca di fare la psicoterapia in pillole anziché applicare la tecnica sanitaria e, soprattutto, mi dice che devo (attenzione: “devo”) accettare un corpo che non è più il mio e che patisco. Ma vaffanculo.
Stavolta (due) per un miracolo (due), non ho (quasi) reagito.
Stavolta, silenziosamente, non sono diventata dinamite. Ho fatto spallucce, e pensato che le due donne in questione fossero delle grandissime teste di cazzo. Ma proprio alla lettera. Glandi e gonfi. Pur femmine, e per questo ancora più esecrabili, visto che il genere si vanta (spesso indebitamente) di guardare il mondo con sguardo equanime e spirito paritario. Invece l’impotenza (imposta) pare ingenerare quasi sociologicamente il sopruso e l’abuso psicologico del più (apparentemente) debole solo per consentire una sterile, povera e misera esaltazione del sè. Così, giusto per dire che non siamo poi così diverse “dai maschi”.
Io però sono diversa. Ed oggi lo sono di più: non mi sono sentita meglio, ma non ho fatto danni, soprattutto a me stessa. Ho scelto di scegliere chi voglio ascoltare e di ignorare certi umani deficienti.
Stasera siedo sulla mia sedia e penso che sono ancora viva e creativa abbastanza per fare diverse cose nuove, la prima tra le quali è scegliere medici che mi ascoltano, la seconda considerare solo clienti che valutano ciò che dico, la terza… essere me, come mi voglio, a partire da ciò che mangio per condividere con chi vado a cena.
***
Avrei un elenco neanche breve di persone da mandare a fanculo, ma penso lo sappiano già da sè se per caso mi leggono 😉