Vai al contenuto

Mappamondo

Pensavo che ogni umano uscisse dal suo Guscio una volta sola e per tutte, come i pulcini, e invece no:

fuori dal guscio bisogna insistere, non solo esistere,

evidentemente.

In qualche modo lo capisco tutti i giorni ma ci penso solo ogni tanto, come adesso.

Sarà una coincidenza? Ah! Niente succede per caso.

Così, come una volta, stasera, che è sabato, snocciolo citazioni per raccontare storie di ordinaria umanità.

Sono uscita a fare tre cose (niente di strano: scheda carburante a destra di casa, farmacia a sinistra ed Esselunga prima del rientro) e ho acceso la musica in cuffia. E’ così che ho scoperto di non avere più il coraggio di ballare mentre cammino.

Ma perché?!

Sarò anche grassa… ma ballavo sempre una volta!

Il piccolo diavolo (al secolo Giuditta) direbbe: quanto tempo fa è una volta?

Ballavi sempre, signorina fuoridalguscio, ma nel Guscio ci si comporta bene.

Nel Guscio le donne della tua età camminano composte, non dicono fesserie, figuriamoci parolacce, agiscono istericamente le loro lunghe liste di cose da fare nell’interesse del bene comune. Nel Guscio i consulenti sono persone serissime, educate, misurate e compassate. Gente di cui ti fidi, gente cui affideresti i tuoi figli.

Ecco, diciamocelo: il Guscio era una rottura di palle quattordici anni fa, figuriamoci adesso.

Però la verità è che mi sono uniformata senza accorgermene. Di nuovo. Cazzo.

Già. Pare che a tratti sì, o almeno così dicono i miei medici. Capita a tutti, dicono. Capiterà anche ma, che cazzo, avete calcolato le conseguenze?

Mi scende una lacrima calda in sintono coi trentotto gradi della Milano di questo luglio neonato.

Ci ho ripensato in una frazione di secondo visualizzando i significati di “Sospesa” (cit. Malika Ayane e Pacifico) e ” Pezzo di me” (cit. Levante e Max Gazzè). Due canzoni che raccontano altrettanti estremi della mia vita, ma soprattutto che mi piacciono tantissimo per la figura neologista creata dalla fusione di musica, voce, ritmo, concetto ed allusione. Due capi opposti di me che ho attraversato e nessuno dei quali mi appartiene più.

Ci ho ripensato e mentre camminavo (tra casa, il distributore di benzina, la farmacia e l’Esselunga – quindi poca roba) ho vagamente intuito (per questo lo scrivo, perchè spero diventi vero) che io non sono nessuna delle cose che dovrei essere, neanche stavolta, mannaggia, e che tutto ciò, tutto sommato, è fichissimo.

C’è il GattoLino Gaudì che mi guarda chiedendosi: “Che stai facendo che balli in salotto?”

Chopin invece ha un fare più gatto, annoiato e scettico, ma pare riconoscermi, il che mi conforta moltissimo (non è che buttiamo diciannove anni insieme nel cesso).

Tutto sommato quel che vorrei dire ai miei gatti è che non so esattamente dove sono finita ma che da qualche parte mi scaveranno il collo con le zampette affettuose e mi aiuteranno a far ri-uscire chi sono.

Prima che il diavolo vesta Chiara, purtroppo, sono io che indosso le vesti del diavolo.

Mi hanno detto: non scrivere cose personali se no ti esponi al pubblico ludibrio.

Mi hanno detto di stare composta, educata, sottomessa (questa è la parola giusta), specie sul lavoro e specie visto che sono professionista.

Mi hanno soprattutto detto di cercare di sembrare di essere meno intelligente di me.

Mi hanno detto di mangiare integrale, di non bere vino, di fare attività fisica anche se svengo e dormire tanto anche se ho il sonno di carta velina.

Mi hanno detto che sarei stata magra e di successo, ma forse pensavano alla Ferragni e non a me.

Ho fatto tutto quello che mi hanno detto e..?

Continuo ad essere scomposta, insubordinata, autonoma, grassa e col mal di pancia, conservando una paradossale superiorità cognitiva incoercibile, a differenza della Ferragni (che peraltro in comune con me ha solo il nome all’anagrafe).

Forse però “grassa e col mal di pancia” dicono molto più di tutto il resto perché mi segnalano un problema di dis-integrazione.

Quanti bpm ci vogliono per contare che in questa parte di mondo la strada finisce e comincia la vita?

Ho ricordi della mia età adulta scolpiti come incisioni rupestri e chiarissime.

Un lustro congelato nel dover essere più puro ed ancestrale delle aspirazioni sociali e non personali.

Un decennio sparpagliato in centinaia di situazioni stereotipate ed aliene da me (ma funzionalissime) rappresentabili in milioni di pixel di ebbrezza e dolore strapazzati dal monitor.

Un altro lustro sudato a guadagnare un posto ufficiale in un pianeta burocrate che riconosce le differenze quanto l’abusivismo.

Oggi, passata tanta merda nei tubi, mi chiedo chi sono. E la verità è che lo intuisco a tratti.

Oggi penso di essere uscita meglio di come credevo e di avere avuto un sacco di fortuna;

oggi sono felice di essere diversa dagli altri anche se è molto faticoso;

oggi ho un po’ paura di come farò ad essere all’altezza di me stessa;

oggi soprattutto mi chiedo dove stia la mia “pratica” (nel senso Yoga del termine) per essere il mio più me stessa possibile.

Non ho fame, ma bevo. Pare che tutto ciò sia esecrabile, però per me è normale.

Non riesco a dire che sono d’accordo, se non sono d’accordo. Pare che tutto ciò sia molto discutibile, ma risulta che gli amici (e i consulenti) servano a questo.

Mi disinteresso della posizione sociale dell’altro, per me siamo tutti uguali e se un luminare sbaglia… vedo un errore non un corto circuito (cit. Diego).

Ho perso tutti i legami importanti del passato (che mi mancano tantissimo) e ne ho costruiti pochi e solidi per il futuro.

Non ho (più) una amica a cui telefonare quando è piena notte e qualcosa mi addolora o spaventa (e questo mi fa sentire inesorabilmente e profondamente sola).

Mi interesso dell’altro, sempre e comunque, perchè vorrei che lo facessero con me.

Poi però ho paura, non dormo bene, continuo invariabilmente ad ingrassare, non sorrido.

Il punto è che mi son comprata un casco della Ducati e ci ho messo delle orecchie da gatto che mi stanno benissimo: succede che non ho il coraggio di mettermelo e se mi guardano per strada mi sento a disagio.

Il punto è che vorrei ballare il tango e penso di essere troppo grassa e maldestra per andare in milonga.

Il punto è che sono uscita dal Guscio una volta e intendo farlo ancora, solo che stavolta sembra come il buco nel muro di Shawshank.

In qualche modo è più facile, però accurato, motivato e significativo della prima volta.

Un paio di settimane fa sono arrivata a casa con un regalo grande, anche in senso volumetrico: un vecchio, preciso, ricco, tondo e leggero mappamondo. Un regalo meraviglioso,: adatto, sensato, colorato e leggero. Così leggero che pare una bolla.

Spero, forse prego, e mi ingegno, di essere (e rimanere o diventare?) come il mio mappamondo: intelligente, utile, onesta e leggera.

Inauguro questa estate, a pochi giorni dal solstizio – pur in ritardo – concentrandomi su di me, cosa che non faccio mai, cercando di recuperare quel che c’era di buono in quei quindici anni “buttati nel cesso”: ballare, ridere ed essere “leggera come un canarino pur portando il peso di un bisonte”. O era il contrario?

Mi manca il finale, forse perchè non serve.

1 commento su “Mappamondo”

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *