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Fango, farfalle e cavalli

  • AliceD. 

Playa Giròn, casa di Lydia y Julio – Dec 28, 21:50 (GMT -5)

Nei tanti giorni di questo viaggio il tempo si è diluito al punto tale da diventare lungo e lento, quasi non pressante. E nelle poche cose che facciamo, lunghe e lente, non ne rimane per fare molto altro, fatico a pensare, a calcolare, a pianificare. So solo dove siamo, che ore sono, che è domenica. Il clima non aiuta: sono seduta su un lettino di legno nel patio della casa di Lydia e Julio, in maglietta, panzetta e leggings e mi pare decisamente strano tenere presente che è fine dicembre. 

È a Trinidad che il tempo ha ambiato il passo, ma io credo di averlo realizzato solo adesso. Il nostro secondo giorno lì, infatti, abbiamo fatto una escursione alle cascate nella Sierra, il terzo siamo andati a festeggiare il Natale in riva al mare a Playa Ancon. Ambedue i giorni abbiamo avuto un compagno di viaggio speciale, Anatoli (un fattore di Trinidad), che ci ha pazientemente guidato e accompagnato nelle due gite.

Nella Sierra ci siamo andati a cavallo (tecnicamente, i ragazzi a cavallo e Luigi ed io a piedi), al mare addirittura in calesse. 

La mattina della Vigilia Anatoli è venuto a prenderci a casa, ci ha portati dai suoi cavalli (Estrella, Mulata y Bolito) poco fuori dal centro della città, ci ha guidati lungo un sentiero sterrato e poi roccioso fino a raggiungere un mirador (al secolo, belvedere) sulla terra intorno a Trinidad. Mai avrei pensato nella vita di passare quattro ore della Vigilia di Natale a camminare tra lo sterco di cavallo (vi lascio immaginare il fetore delle mie scarpe ex post) tra banani e mandorli, farfalle colorate e cavalli liberi al pascolo. 

Il tempo qui si è fermato, sì, ma la realtà è in effetti più omogenea, più coerente con se stessa, dal ristorante interamente all’aperto dove ti fanno entrare sudato, sporco e con le scarpe luride di fango e merda e nel retro stanno girando un maialino intero allo spiedo, al santo della Santeria che canta in tutte le lingue del mondo sotto un gazebo di foglie di banano e fa il caffè con l’acqua minerale. 

Il tempo si è fermato e vanno tutti a cavallo, ma i cavalli sono molto più veloci di quello che può sembrare ed è tosta stare al passo, anche perché si arrampicano senza alcuna apparente difficoltà mentre io arranco sudata sotto il sole cocente.

L’unica cosa che stona, e che per fortuna si è manifestata solo alle cascate, è la ressa di turisti (alcuni massimamente ignoranti nonché nostri conterranei) che oscura un po’ la genuinità di una giornata in una natura completamente diversa da quella che conosco.

Qui sono diversi i fiori, i fusti degli alberi, le dimensioni: ho visto una stella di Natale alta qualche metro e piante che trattiamo come d’appartamento con foglie grandi due o tre volte la mia mano. Sono diverse le persone: Anatoli, il nostro compagno di viaggio di oggi, è un gentilissimo pastore di cavalli che mi dice che qui lui sta bene perché ha la sua famiglia, una casa, il lavoro. Ho fatto un pezzo di strada con lui, sulla sua cavalla Loca, perché ero troppo stanca per fare tutto il percorso all’indietro, riuscendo ad improvvisare una mediocre ed approssimata conversazione in Spagnolo, fino a che non siamo arrivati al ristorante Paraìso, a scofanarci sette porzioni di cerdo asado in cinque (poi sono riuscita a tornare a piedi).

Qui anche il tempo è diverso, e ce lo spiega il padrone della nostra casa particular quando ci dice che ci porterà un mojito in cinque minuti cubani, che al nostro tempo sono più di quaranta, però son quelli che ci servono per liberarci di puzza, sporco e zecche (una delle quali sopravvivrà su Lorenzo fino a Playa Giron e sarà eliminata solo da u sigaro, come ci ha suggerito Anatolil) e prepararci per andare a cena da Rosa la Peluquera.

Il giorno di Natale Anatoli è tornato a prenderci per portarci col suo coche, che sarebbe un carro (vale a dire un calesse) a Playa Ancon, con sua moglie Maria e il suo figlio minore di cinque anni. Mezz’ora di percorrenza trainati dal cavallo, con carri più che auto che ci sorpassano talora, ed eccoci sulla riva del mare. Una icona da film: la sabbia bianca, il mare infinito, gli ombrelloni di foglie di palme secche, un chiringuito, il cerdo asado, il mojito senza ghiaccio e la foto coi cappellini di babbo natale. Ce ne sono rimasti quattro perché ieri due li abbiamo regalati alle ragazze del ristorante Paraìso. Non ce ne rimarrà nessuno perché li vogliono anche Rigel (il bimbo di Anatoli), Maria e Anatoli.

Tornando dal mare passiamo da Casilda, il paesino di mare: una strada sterrata e fangosa con una trentina di casette basse, più o meno stabili, qualche cane e qualche gallina in strada, poi una curva, una casa di pietra, una soglia. E dietro… un ristorante all’aperto con camerieri in livrea gestito da un ex militare, dove ci servono aragosta e pescado scelti da noi e messi su una griglia di pietra sopra la brace. Invitiamo Anatoli e la sua famiglia a mangiare con noi, così riesco a convincere Rigel che la langosta no pica perché esta muerta e se puede comer.

Pranzo di Natale, come piace a noi. Ritorno in calesse, Anatoli ci regala il fondo della sua bottiglia di ron scuro forte come la Aguardiente, rifacciamo le valigie e ci prepariamo per andare a cena a mangiare il pollo asado e ascoltare la musica.

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