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Perle di negoziazione

Shanghai, Fraser Residence – Feb, 7 – 21.17 (GMT +8)

Pioviggina e fa un freddo boia oggi, oltre ad esserci un insolente vento freddo che si infila anche nelle maniche. Sofia, la nostra amica cinese che studia il Tedesco e ci serve la colazione, ci ha detto che è previsto cattivo tempo per tutta la settimana, il che ci porta a ritornare quasi occidentali, con lo yogurt il mango la granola il miele ed i pancake con la banana le mandorle e le noci pecan (senza virgole, per esaltare il sapore d’insieme).

Al Museo di Shangai di ore di coda ce ne sono persino quattro, stamani (centomila cinesi almeno in fila ordinatissima, sotto gli ombrelli colorati). E quindi cosa facciamo? Altro cambio di programma: andiamo al fake market, fa niente se non è l’ultimo giorno, sabato faremo qualcosa d’altro.

Cielo, che disdetta (che come immaginerete è esattamente l’espressione che ho usato): al fake market è quasi tutto chiuso. Eh già, come canterebbe Vasco… è lo Spring Festival, son tutti a festeggiare e spendere i soldi che han guadagnato. I loro negozi sono chiusi. E quindi? Quindi niente perle, facciamo solo due passi.

Praticamente mi si è spezzato il cuore.

Il fake market di Shanghai si trova dentro la stazione della metropolitana del Museo della Scienza e della Tecnologia ed è un enorme dedalo di vetrine, vetrinette, porte chiuse e fessure dove sono ammucchiati in perfetto disordine Rolex, borse di Louis Vuitton, occhiali di marca, cinture, abiti, accessori di seta ed ogni altro bene di lusso che si possa immaginare. C’è quasi qualunque cosa si possa desiderare, quando è aperto. Peccato che oggi non lo sia, e quindi io ne esco senza perle ed anche senza la mia agognata Neverfull nera. Che strazio. Però mi godo lo spettacolo del rito della compravendita, che è l’esatto opposto ed il perfetto contrappasso del rito del tè, ad attestare la profonda varietà di questa civiltà multiforme.

Al quarto giorno in Cina le regole base della negoziazione le ho imparate anche io: tu sfogli pollice ed indice della mano destra (quanto costa?). Lui (lei) risponde con un numero digitandolo sulla calcolatrice (diciamo duemilaseicento RMB). L’unica cosa che abbiamo in comune con i cinesi, del linguaggio, sono le cifre (e alcuni segni del linguaggio del corpo). Tu dici ‘No, too much’. Allora lui digita un altra serie di cifre sulla calcolatrice, un po’ più basse ma non tanto (diciamo duemiladuecento RMB). E qui comincia il bello. Tu dici: ‘No, really too much’ e lui ti chiede quanto sei disponibile a pagare, è qui che digiti una cifra spaventosamente più bassa (diciamo cinquecento RMB).

La danza che segue specchia lo schema di una partita di ping pong, sempre più veloce, sempre più tesa, accompagnata da un climax ascendente di espressioni contrite, tra il venditore che si offende e l’acquirente che scuote la testa. Poi, eccolo, il colpo di fioretto del negoziatore esperto: ‘Non importa, non lo compro, grazie’ ed esci dal negozio. A quel punto il venditore ti rincorre dicendoti ‘okokoko’ che vuol dire veramente ok, ok, ok e ti riporta dentro il negozio. Ti guarda e sfoglia il pollice sulle quattro dita della mano destra (dammi i soldi!).  Alla fine te ne vai con l’ultimo modello di orologio di ceramica di Chanel con 700 RMB e lui (o lei) è contentissimo e ti dice Happy New Year.

Nel gioco delle parti il negoziatore, ovviamente, è Luigi. Io faccio la bambola capricciosa che vuole il giocattolo prezioso ma lui dice che costa troppo e io non lo voglio più. Sto zitta e la mia espressione è piatta come quella di un dentice prima di finire in forno (anche se tra me e me ardo di imbarazzo e mi viene anche da ridere). Se mi guardano sorrido imbambolata con l’espressione più stolida che so interpretare. Luigi nel frattempo si trasforma in un nababbo spilorcio e tiranno che mi ignora completamente, tanto che posso anche uscire e nessuno se ne accorge. La negoziazione finisce coi due che si stringono la mano e ridono, mentre il venditore ci dice Happy New Year.  Il colpo di classe lo faccio io, che non ho profferito parola, e sfodero il mio Xīn nián kuaì lè accompagnato dal sorriso più innocente e manga di cui dispongo. A questo punto siamo davvero tutti felici (anche se io non ho le mie perle). Se non fosse che è quasi tutto chiuso, stamattina potremmo comprarci l’impossibile con questa strategia.

Sono le due e quaranta, forse abbiamo fame, a Pudong non c’è niente per noi a parte il fake market e io ho sempre quel dolore sordo nel cuore per non aver trovato le perle. Vabbè, andiamo a fare due passi alla Old Town, così, per mangiare un boccone. Il boccone poi lo mangiamo alle cinque e mezza, perchè finiamo annegati nella solita ressa impressionante (siamo stati fortunatissimi a goderci la città semideserta i primi tre giorni). La ressa impressionante, però, è ordinatissima, anche perchè c’è polizia ad ogni piè sospinto. Il percorso è guidato, puoi camminare lento quanto vuoi, fermarti quanto vuoi, calpestare tutte le persone che vuoi, ma devi seguire la direzione, anche perchè al bazar del Mandarino Yu si entra solo dopo aver varcato uno scanner, uno per le borse e l’altro per il corpo. Il percorso è guidato e noi lo seguiamo con attenzione, con così tanta che a Luigi casca l’occhio su un ‘Lisa Pearl, 2F’ (che vuol dire second floor). Vorrai mica non andarci? Ne siamo usciti molto più leggeri, a stomaco vuoto e senza banconote, ma quante perle, adesso!

La nostra giornata è fatta di metropolitane, passeggiate al freddo, cappelli, guanti, giacca antivento e il mio bellissimo impermeabile nuovo giallo papera col guerriero manga sulla schiena. La nostra giornata è fatta di starnuti, acquisti, soste in tutti i bagni possibili, cose che avremmo potuto ma non abbiamo voluto comprare, scelta di confezioni di tè, draghi di legno e segni zodiacali cinesi (il serpente, il cane, il gallo, il maiale…). La nostra giornata è fatta di programmi per domani e sabato, che forse cambieremo ancora, di poche foto perchè piove, di granchi fritti mangiati a bordo strada e conversazioni fitte coi pochi locali che parlano Inglese. La nostra giornata all’aperto finisce così, che poi c’è da tornare al Fraser perchè aspetto l’ennesima telefonata di lavoro (però opportunità, e ‘sta settimana siamo a due) e domani per l’uno o l’altro dei buoni motivi, c’è da alzarsi presto.

La nostra giornata ha una conclusione degnissima: un tardo pranzo o pristina cena (due al prezzo di uno) da Nanxiang Mantou Dian, che è davvero speciale. Ravioli di maiale piccante e granchio, di gamberi e granchio, di ‘organic herbs’ (indubbiamente i miei preferiti). Anatra marinata alla Shanghainese e piatto di gamberi con granchio. Broccoli saltati in funghi e aglio, verdure di stagione stir fried (che non si sa cosa siano ma sono buonissime). Longjing come se piovesse e birra cinese celebrativa per il principe. Ormai mangiamo solo cinese. Siamo così cinesi che oltre a bere il tè a pasto ci prendiamo anche il dolce cinese: tre ravioli giganti a forma di maiale. Li scopriremo ripieni di mango, una vera delizia.

Ormai siamo così cinesi che torniamo a casa per le stradine e siamo come sempre gli unici bianchi che camminano qui.

Ormai siamo così cinesi che per poco non torno a casa con un cappotto bianco ricamato di seta dorata e celeste nello stile tradizionale… per fortuna mi stava un po’ grande…

Stasera beviamo un infuso rilassante, scriviamo e sistemiamo le foto. Ci chiediamo se e quanto pioverà domani e facciamo il toto Museo/Hangzou.

Questa vacanza è davvero, ma davvero davvero davvero, bellissima.

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