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Dei cinesi e di Suzhou

Shanghai, Fraser Residence – Feb, 6 – 20.27 (GMT +8)

La Lonely Planet di Shangai fa schifo, non compratela. Le cartine non hanno indicazioni abbastanza precise, sono segnalati diversi luoghi dove mangiare che non esistono (più), mancano le indicazioni essenziali per la sopravvivenza ed anche per trascorrere il tempo in maniera intelligente e rilassata e non da turista massificato e stereotipizzato in coda come un cretino, come se in vacanza il tempo si potesse sprecare, in vite in cui non abbiamo nemmeno un minuto da vivere meno che al meglio.

Siamo stati a Suzhou e se avessimo seguito quella stupida guida avremmo passato una giornata di inferno. Invece… ho lo stesso una gamba fuori uso e l’altra stanca (ma sono io che vado in giro per 12 ore e 16 km con gli anfibi), ma abbiamo visto un sacco di cose strane e belle e diverse ed abbiamo trovato anche oggi una ragione per incantarci un po’, tra l’acqua e i fiori e questa meravigliosa bellezza tutta figlia dello Zen.

La cosa più impressionante però, senza dubbio, sono i cinesi in sé.

Perchè i cinesi sono davvero tanti, molti più della pubblicità del Negroni. Ma così tanti che si fa fatica ad immaginarlo. Sono tanti nelle stazioni, sono tanti per strada, sono tanti a prendere un taxi, sono tanti sulle scale mobili delle metropolitane, sono tanti, tantissimi, in coda per entrare ai musei ed ai giardini. Ma tanti che la coda è lunga centinaia di metri, non si vede la fine… passa la voglia di farla, davvero. E vi risparmio il fatto che la maledetta guida non segnalasse che ci sono due biglietterie e che quelli senza carta di identità (cioè tutti gli extracinesi) possono andare solo in una se no niente biglietto… Fanculo la Lonely Planet. Niente giardini patrimonio dell’UNESCO (peccato) e niente Museo di Suzhou.

I cinesi sono tanti ma sono anche davvero gentili: senza che chiedessimo niente, ci hanno fatti sedere in metropolitana, ci hanno accompagnati al check-in del binario 28 alla stazione dell’alta velocità, addirittura aspettando il nostro controllo dei passaporti, ci hanno accolto in un posto dove di comprensibile ci sono solo i numeri e non solo ci hanno dato da mangiare ma ce lo hanno anche portato a tavola (ridendo della mia singolare modalità di cercare di mangiare i noodles con le bacchette senza sporcarmi, senza sbrodolare e senza mettere la faccia dentro la ciotola).

I cinesi sono tanti, gentili e sono anche simpatici: continuano a fermarci per strada chiedendoci di farci delle foto con loro. Capita in particolare a Luigi, che viene fermato almeno due volte al giorno da qualcuno di qualunque età, genere ed espressione facciale che vuole farsi un selfie con lui o con noi. Dice Dandan che noi caucasici siamo particolarmente belli secondo questa cultura. Io non lo so, però è tremendamente divertente la collezione di selfie con autoctono che ci portiamo a casa (direi che dovremmo dedicare una pagina dell’album ai nostri nuovi amici sconosciuti).

I cinesi sono tanti, gentili, simpatici e fanno delle cose stranissime, tipo motorizzare i risciò (si veda geniale timelapse su Facebook), guidare contromano su strade enormi, sorridere senza incisivi e mettere un sistema di face recognition per il prelievo della carta igienica nei bagni pubblici.

I cinesi sono tanti, gentili, simpatici, strani e questa Cina mi piace un sacco anche se ha il cielo sempre grigio e la Lonely Planet non le rende giustizia.

C’è stato un raggio di sole fortunato, anche oggi, sulle nostre teste, ed una temperatura di diciassette gradi. Abbiamo visto il Lion Grove Garden (giardino di residenza di monaco buddhista), il Tempio del Mistero (taoista) e un sacco di strade affollate e case basse che sembrano cadere a pezzi da un momento all’altro. Fiori, colori, profumo, poesia, con gli occhi chiusi forse anche qualche secondo di meditazione profonda. C’è poco di bello come il bocciolo di una camelia sul suo arbusto bonsai, specie quando per caso già profuma e tu ci metti il naso dentro e arriva una signora cinese che ti guarda stupita e poi prova a farlo anche lei e sorride. C’è poco di bello come il Tao davanti alla fiamma di una pira di candele e le statue d’oro, sorridenti, nel tempio. C’è tanto di bello, ma poi c’è Pingjiang Lu, a Suzhou.

Siamo arrivati a Pingjiang Lu, sul canale, alle tre e mezza, e fino alle cinque e rotti ci siam rimasti, ciondolando come due personaggi de Le Rane di Aristofane, quasi a testa in su in mezzo a tanta bellezza. Perchè Pingjiang Lu è proprio come nei film e nei racconti, col salice piangente, i negozi sul lato destro e le case su quello sinistro, i tavolini con il set per bere il tè accessibili a chiunque, la musica che suona nella strada. Però ci sono anche migliaia, migliaia e migliaia di persone che camminano e se non stai attento ti camminano anche addosso. C’era anche il drago (finalmente), ma un drago dorato, arrabbiato, spaventoso e con la coda lunghissima, che usciva da un locale. E poi viuzze ed ingressi con le lanterne, le luminarie e addirittura gli ombrellini a testa in giù, come nei manga.

Pingjiang Lu mi è piaciuta tantissimo, mi sarei comprata tutta la seta e tutte le perle che c’erano ed avrei continuato a camminare per ore, se non fosse che la mia gamba sinistra ha lanciato un grido straziante di allarme e c’era un treno da prendere per tornare a Shangai (e un’altra ora di metro e un altro km a piedi).

Adesso giusto il tempo di ristorarsi con un tè (Luigi è ancora incredulo, ma io continuo a bere acqua e tè), sistemare due foto, raccogliere le idee e poi vediamo di raggiungere un tipico ristorante della tradizione Yunnan che è ad una ventina di minuti da qui e si chiama Lost Heaven, sperando che sia vero che è un posto dove non c’è ressa e si mangia bene (la reputation confermata da Tripadvisor ci fa prendere in considerazione il consiglio della Lonely, speriamo che non menta).

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Le foto

Spring Festival

Spring Festival – Soul

Spring Festival – Legends

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Shanghai, Fraser Residence – Feb, 7 – 00.06 (GMT +8)

La cena era buona. Il locale affascinante. Il cibo pieno, tondo, speziato e non pesante. Piovevano aglio e cilantro (coriandolo, al secolo), vediamo come ci svegliamo domani mattina. Alla fine ho ceduto, come dire di no ad un Rioja?

 

 

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