Shanghai, Fraser Residence – Feb, 5 – 22.18 (GMT +8)
In effetti, so di cinese cinese, o almeno questa era la mia sensazione stamattina (sarà colpa dello spicchio d’aglio che ho mangiato ieri sera?) e continuo a non dormire, come se fosse diventato un optional. Invece sono stanchissima, solo che ho il corpo a GMT+1 e la testa a GMT +8. Di notte non riesco ad addormentarmi, di giorno mi viene fame (e poi sonno) ad ore impossibili e per di più camminerei sempre. Se non bastasse, ieri ho fatto la stupidaggine di bere tè verde anziché tè bianco sia a cena sia mentre scrivevo, così questa notte ma la sono fatta quasi tutta dritta. E poi questa esperienza è così densa e colorata, e poi umida, calda, fredda e ventosa, e poi puzzolente di smog e profumata di mango, piccante e ripiena come i dim sum, leggera e avvolgente come lo Jasmine tea, che mi sembra di esser qui da una settimana, invece è solo martedì.
La pausa quotidiana per il diario e le foto rischia di starci stretta, in giorni come oggi, che il tempo ci è sfuggito di mano, come i chilometri. E sono tante le cose da raccontare, le immagini da fissare, le forme di vita su cui riflettere per capire quanto sia diversa ed apprezzabile, non sempre condivisibile, questa società.
Qui si vedono tante donne che lavorano. Tante, molte più che da noi. Fanno anche le guardie in metropolitana, non solo le cameriere. E ci sono uomini che puliscono i bagni. Si vedono tratti somatici significativamente distinti tra persone sedute vicine, e si capisce che se la Cina è così grande, le popolazioni che la abitano sono davvero differenti anche tra loro. Non è vero che questi visi sono tutti uguali, non è vero che sono gialli. Ce ne sono di pallidi, di olivastri ed alcuni anche di pelle scura. Ci sono donne con la pelle di seta, altre con delle rughe da tartaruga millenaria, addirittura alcune con uno spiccatissimo acne che le rende persino lunari. Hanno i capelli lisci, alcuni crespi e folti, altri così sottili da sembrar fatti di neve. Sono vestiti come noi, diversi tra di loro. Abbiamo incontrato persone elegantissime, con uno stile raffinato ed orientale, e certi tamarri pazzeschi che neanche in un video der Piotta. Coppie mano nella mano con le scarpe uguali, talora a colori invertiti. Abbiamo visto macchine di superlusso in quartieri fatiscenti che stanno per essere rasi al suolo e ricostruiti da zero in qualche alveare di luce alto fino al cielo, e siamo saliti su dei taxi che non sappiamo nemmeno come possano accendersi tanto sono vecchi, figuriamoci circolare. Abbiamo visto la cassiera della biglietteria della stazione stamparci otto biglietti del treno solo inserendo i nostri numeri di passaporto (ormai siamo schedati, altro che periodo di conservazione), ma poi abbiamo intercettato addirittura un cartello della videosorveglianza in metropolitana. Ci hanno servito un mollusco gigante (che si chiama abalone) chiedendoci se potevano tagliarcelo (i cinesi ti spiegano che per loro tagliare è lavorare, per questo servono il cibo già in pezzi) e poi ci hanno mollato a mangiare un pesce intero con tanto di pelle solo con le bacchette. E sì, sono tre giorni che ovviamente mangiamo solo con i chopsticks. Del comunismo parlerò quando mi sentirò pronta, adesso sono ancora solo tremendamente impressionata dalle campagne mediatiche, dai cartelloni con la falce e il martello, dai palazzi in distruzione e dai messaggi autarchici nemmeno tanto subliminali.
Insomma, questa vastità è impressionante. Stordisce. Bombarda il cervello di informazioni, di colori, di affermazioni e negazioni. Forse aiuta ad alzare lo sguardo, a sospendere il giudizio, a focalizzare meglio l’energia.
Poi mi chiedete come ho fatto a sbagliare rubinetto dell’acqua? Immersa in tanta novità io sono ancora sbalordita del fatto di riuscire ad orientarmi (riusciamo a fare quasi tutto con la carta e senza Google. Ho detto quasi!)
Stamattina era prevista pioggia, quindi abbiamo cambiato programma. Siamo andati a passeggiare in People’s Square come suggerisce la Lonely, intenzionati a visitare il Museo di Shangai, ma era già troppo tardi. People’s Square, che se la chiamiamo col suo nome fa più impressione (Piazza del Popolo, Boaretto docet), è proprio brutta. Piena di smog, di gente, di macchine e di sottopassaggi. E’ grigia, attorniata di edifici di architettura tremendamente fascista e tempestata di bandiere rosse con le stelle gialle. L’unica cosa che mi è piaciuta è il parco che c’è nel mezzo, un’oasi di ossigeno e cinguettio di uccellini, piena zeppa di colombe (Chiara, non sono colombe, sono piccioni bianchi… – sospiro esasperato, Boaretto docet). Fa niente, a me sembrano colombe e mi piace così.
La coda per il Museo poteva durare anche due o tre ore, abbiamo deciso di riprendere la metro, non senza esserci concessi una sosta tecnica nei bagni pubblici. Mai visto bagni pubblici così: sono spaziosi, puliti, ordinati, gratuiti e c’è perfino la musica. Ovviamente, non si fa neanche la coda perchè sono tanti. Cose dell’altro mondo.
Dalla stazione centrale di Shangai (dove siamo andati a prendere i biglietti per domani) ci siam diretti a piedi a Jìng’ān per visitare il Tempio di Giada, luogo di culto buddista grande come un mall di una grande città. In Cina per entrare nel tempio buddista paghi il biglietto (non so se altrove, per me è la seconda volta e sempre qui), ma per non fare due ore di coda dai 20 RMB in più ad una vecchietta (di quelle con le rughe da tibetano e la riga di capelli bianchi) che fa serenamente la bagarina davanti alla ennesima macchina della polizia.
Nel tempio, a parte un’orda esagerata di persone che però, a guardarli, sembravano tutti fedeli che lanciano monetine, appendono preghiere e bruciano incenso, inchinandosi di fronte a decine di statue dorate, c’erano un sacco di colori intensi. Oro di statue, rosso di lanterne e preghiere e ornamenti celebrativi dell’anno appena iniziato, verde di bonsai ed alberi e camelie in bocciolo, nero e marrone di legno intarsiato e grondaie fatte di coppe di metallo decorato inanellate ad un filo dal soffitto al pavimento. Musica di sottofondo, tutta cantata, forse preghiere, perchè i passanti la intonavano. Tintinnio di monetine lanciate verso simulacri e mani che accarezzano la testa e la coda – lucide – del drago (anche le mie). Tra i tanti Buddha, il nostro. Quello che ci ha regalato Janaka e che confonde Diego, che ogni tanto mi chiede perchè abbiamo un Buddha in casa (e io gli ricordo che c’è anche un crocefisso di Loppiano, che però è così bello che non fa paura e quindi non si riconosce). Tra i tanti Buddha, quello di giada. Un Buddha ragazzino, magrissimo, liscio, ma con tanta pace nello sguardo da esser vasta come l’umanità. Bello il Tempio di Giada, davvero. Ma troppa, troppa, troppa gente. Non capisco come in un delirio così si possa trovare della pace, a meno di non perdersi nello sguardo di una statua (per poi essere travolto dagli altri fedeli scalpitanti).
Bello il tempio di Giada, sì, ma non c’è niente da mangiare e sono le tre del pomeriggio. Vabbè, faremo una fermata di metropolitana. In realtà abbiamo camminato quasi due ore, prima per arrivare alla metro e poi, dopo, scesi a West Nanjing Rd (la fermata della metropolitana da sola è grande come un quartiere). Siamo arrivati da Ding Tai Fung che eravamo quasi morti. Ma venticinque ravioli (di granchio, di tartufo e pollo, di gamberi, di verdure), due piatti di noodles e tre giri di tè (due birre anche, per il principe) ci hanno rimessi in piedi, anche se eravamo ancora seduti. E’ stato così che ci siamo accorti di due cose.
La prima è che West Nanjing Rd è la via Montenapoleone di Shangai, solo che è larga come la A4 e lunga un numero imprecisato ma spaventoso di chilometri. Non so quanto abbiamo camminato e quanti negozi da milionari abbiamo visto, prima e dopo lo Shangai Theater, ma c’erano luci, addobbi di festa, grattacieli, taxi, clacson e tanti tanti vasi enormi ricolmi di ordinatissime violette e lillà. Questa città è piena di fiori, sempre e dappertutto (ci sono anche un sacco di verze, ma sono davvero bellissime).
La seconda è che ci siamo accorti di essere in ritardo per lo spettacolo, e quindi abbiamo ricominciato a camminare spediti. ERA Castle, in un posto in fondo al mondo a Shangai Nord. Non è un castello, è un tendone da circo, ed al suo interno di esibisce la Shangai Acrobat Troupe. Partivo male, perchè il tendone mi ha messo in faccia quella mia aria da intellettuale radical chic prevenuta che sapeva già che si sarebbe addormentata davanti ad uno spettacolo banale e sarebbe morta di freddo… ma chi, io? Al circo?
E invece anche stavolta Luigi aveva ragione: una esibizione sensazionale. Elettrizzante. Mozzafiato. Sono stata due ore con gli occhi tatuati al palcoscenico, seduta in prima fila, a guardare la fantasia estetica dei corpi di una doppia dozzina di ragazzini con gli occhi a mandorla, forti come il mare e leggeri come la neve, che si piegavano, stavano in equilibrio, e poi volavano, e danzavano, e combattevano e lanciavano oggetti in aria e poi giravano in moto (in sette) dentro una gabbia a forma di palla. ERA Intersection of Time, il titolo dello spettacolo. Impossibile descriverlo, mi possono aiutare solo le fotografie, ma voglio dirvi che è raro che io rimanga senza parole (lo sapete bene) e che quindi hanno ragione loro: Shangai non è Shangai senza aver assaggiato anche la sua specialissima vena acrobatica.
Adesso vado a dormire, domani bisogna alzarsi presto ed andare a prendere una metropolitana ed un treno, ma prima vediamo che succede… stasera ho fatto la lavatrice. Adesso lancio l’asciugatrice, mai esperita prima in vita… chissà se ho appena distrutto una derrata di biancheria di famiglia!
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Le foto: