Amo il profiling perchè somiglia alla magia. Quella magia che fa suonare la musica giusta nel giorno giusto ed il puzzle ha improvvisamente una forma che si fa intuire… quel momento in cui tornano su le parti belle e non ci sono mai stati i conati di vomito… quella magia che quadra i conti del cerchio ed eleva ciascuno a se stesso, compreso lo zero.
Oggi è un giorno così, che sembra un miracolo. E non è magia, è solo un perfetto insieme di vita e profiling – perché se ci pensa la vita… anche iMusic si adegua.
E’ qualche giorno che mi sveglio così ma l’ho capito solo oggi, mentre camminavo ascoltando ‘scelti per te’ di iMusic. Giusto per capirci, così poi uno può smettere di leggere, è capitato che oggi pomeriggio l’algoritmo genetico che apprende i miei gusti musicali (ignorando il jazz) abbia indovinato il mio stato d’animo ed anche il giro del mondo in ottanta giorni che sta facendo la mia anima in poche ore nel riassaporare tutta la storia della mia vita. Proprio come se fossi in mezzo al guado del prossimo gradino evolutivo (azz, che fatica) e ci volesse proprio questa roba per capire bene cosa sia.
Stella del mattino — Ludovico Einaudi
Cambia-menti — Vasco Rossi
Hai un momento, Dio? — Ligabue
Ho imparato a sognare — Negrita
Chiara — RATS
Born to run — Bruce Springsteen
The fly — U2
All you need is love — The Beatles
La locomotiva — Modena City Ramblers (Francesco, perdonami!)
Io sto bene — CCCP
Overdose (d’amore) — Zucchero
Cara — Lucio Dalla
Ridere di te — Paolo Vallesi
Ricomincio da qui — Malika Ayane
Cosa sarà — Lucio Dalla e Francesco De Gregori
Profumo — Gianna Nannini
In bicicletta — Riccardo Cocciante
Innamorarsi ancora — Stadio
I treni a vapore — Fiorella Mannoia
Un viaggio nella mia stessa vita, una delle cose più singolari che possa immaginare, un po’ come l’incontro tra Spock e l’ambasciatore Spock. Una roba così spacca, nel senso letterale. Come una boccia a stomaco vuoto. Ma aveva ragione Lucio (pace all’anima sua): sposta la bottiglia e lasciami guardare.
Da qui, offline, si vedono tutte insieme le donne che sono stata e si sovrappongono, come le TAC e le RM delle masse tumorali al CNAO. Ne esce, nitido e neanche tanto timido, il disegno di ciò che posso diventare, alla fine del guado, se rimango concentrata su me stessa. L’unica nostalgica di un passato remoto con conati di vomito sono io. SSR, che se ci fosse Anna lo intuirebbe subito: sono stata e rimango.
SSR.
Scrivo, ballo, compro un sacco di scarpe (e le metto tutte). Capisco quasi tutto (e poi non serve a un cazzo perchè l’umanità cambia idea come io cambio scarpe). Prendo treni. Amo il rischio. Guido, illumino, ispiro (che poi vuol dire anche seduco, ma ultimamente mi fa un po’ impressione).
Ecco, allora, rifletto su una cosa che mi ha colpita: com’era quella storia delle supernova e delle nane brune? Non mi ricordo niente delle lezioni a scuola (tristi esiti del liceo classico), ma mi ricordo tutto della vita. Di com’è camminare e parlare ed illuminare le stanze nelle case degli altri, come Lucio Dalla quando canta(va), e poi di com’è improvvisamente ritrovarsi chiusa dentro una nicchia con pareti che attutiscono, ad emettere luce in silenzio. Non so cosa sia successo prima e cosa dopo, ma ho smesso di sentirmi brillare ad un certo punto. E sono tre giorni che, so che non è per caso, sento che potrei brillare di nuovo. Me lo dice la musica, anche. Chi può ascoltare una playlist così, se non la mia eclettica, paradossale, stroboscopica me?
Quest’anno il Guscio compie dieci anni. Come li compie la mia seisazeia. Forse stasera li compio anche io, o forse domani, insieme ai sedici di Chopin.
Me ne sono accorta così, da un sospiro a colazione: mi sono messa a cercare il centro di me (dieci anni fa). Ci sono state passioni, dolori, violenze e delusioni, alla ricerca di una cosa sola: l’esplosione della luce, quella vera. Deduco che ci volessero due lustri almeno, per farcela, e non so come andrà a finire. Però io ci credo.
Posso tenere le dita lunghe e la femminilità felina, l’intelligenza acuta e l’innocenza trasparente, che per me sono ovvie, e posso consolidare la spinta nelle gambe che fa fare chilometri in bici. Posso praticare le asana di equilibrio nella prima serie di ashtanga yoga, piegarmi in due come un giunco, levarmi in Sirsasana. Posso dire che non sono d’accordo e nessuno mi esecrerà per questo. Posso abbracciare forte le mie piccolissime nipoti e non partorire. Posso dire quello che penso mentre lavoro. Posso amare i miei ‘nonfigli’ senza le paturnie della madre biologica, posso ritenerli i primi della lista alla faccia del genetismo che evidentemente i miei sponsorizzano. Posso abbracciare il mio grande gatto bianco con le orecchie rosa (e sedicenne, domani) che salta ancora sulla mia sedia. Posso dipingermi le unghie ed essere tanto semplice e pulita quanto sexy.
Mi sono accorta che gli uomini mi guardano ancora, nonostante i cinque chili di troppo. Mi sono accorta che se non ci penso, ai cinque chili di troppo, sono ancora capace di distrarli (gli uomini). Mi sono accorta che i cinque chili di troppo mi affaticano ma non mi allontanano dal mio compagno, se li ignoro (i cinque chili).
Capisco quindi che anche questo è un treno con la sua strada, con le stazioni ed i dolori di un decennio impegnativo, in cui divento, alla fine, quello che sono.
Odori, passioni, dolori, sapori, lacrime, sale, botte in faccia, quelle peggio nello stomaco, sprazzi di luce, personaggi incredibili, amici che rimangono, persone che capiscono, vestiti che non mordono le curve… sigarette scomparse… chilometri in bici, ore sui piedi, aule di formazione con allievi irrequieti, sostanza, sincerità ed un ingrediente alla base… che noi lo chiamiamo BoaS. Se l’ho imboccata giusta, in questo giro, sull’ottovolante ci stiamo in due (e poi in cinque, in otto e poi non si sa) ed io non soffro di vertigini. Però sono ancora intelligente. Ed ancora sexy, ed ancora bella. In perfetto climax ascendente in cui vorrei essere: come la Bindi (più bella che intelligente), ma sul serio.
Stasera, che faccio fatica a mangiare GIFT e ascolto questa sequenza di musica impossibile che abbraccia la mia intera me (tralasciando il jazz), mi concentro su dove rimanere, trascuro cosa lasciare perché se ne andrà, pratico cinque respiri ujjayi e lascio che tutto sia. Spero che Aldo capisca, perchè se lui capisce allora è ok.
Vado a dormire sincera, tremenda, felina e morbida come mi sono svegliata. Acuta, immensa, semplice e triviale come sono abituata. E soprattutto, respiro. Inspiro, espiro, e lavoro per abbinare, a tanta flessibilità, forza e resistenza, anziché fare il viceversa che mi hanno insegnato.
Andrà tutto bene.