Ho aspettato a lungo che sorgesse il sole, tra Neffa e Lorenzo Fragola: mai fino a questo preciso istante ho sentito (e badate bene, non pensato, capito o inteso – sentito) che il sole ce l’ho dentro. Io? Sì.
Capisco in questo istante, Anna, la natura inspiegabile e multiforme della nostra relazione passata: era dopamina. Ne producevamo una gran quantità e sapevamo darne anche agli altri, nella maggior parte dei casi. Mi manca spesso quella sensazione, che se ne è andata e va bene così, che era buona, era funzionale, faceva respirare quando mancava l’aria. L’aria manca ancora, e anche spesso. Ma alla fine, l’aria, quella è sempre mancata e non è lei che è una stronza.
Il punto è che l’aria è sempre mancata perché la lasciavo mancare. E che cazzo, da adesso non ce la faccio più con l’aria a tratti.
Da un po’ non lo faccio più, solo che praticare questa scelta è molto ma molto ma molto più difficile che risolvere un sudoku difficile.
Allora c’ho la playlist del buonumore.
Quella che facevo suonare quando cercavo di cominciare ad andare a correre. Correvo, sì, ma non per correre. Facevo suonare la dopamina e l’ossitocina, così, che #fuoriceilsole, #buonviaggio e #greygoose. Poi dopo c’è #glisparisopra ma di solito mi sono già incazzata.
Io, che alleno la felicità, ma ho capito che la collera ed il sangue freddo sono le migliori amiche della mia amigdala. Le ho, sono mie, le amo.
Fine dell’introduzione, che poi in fondo serve solo a me, per scrivere.
Mi manchi Fede. Non essere lì a stappare l’ennesima del tuo quarantesimo mi fa sentire un po’ lontana.
Mi manchi Sisa. Diecimila km sono tanti e io non sono per niente brava a parlare.
Mi manchi mamma, perché se non ti telefono io, tu non mi telefoni (e poi ti incazzi se lo scrivo).
Mi manchi Anna, mi manca quella dopamina che irrorava le scale di MRP.
Mi manca un sacco di roba, perché ho scoperto che c’è un sacco di spazio.
Pensavo di poter contenere molto nella mia intelligentissima superperformante me stessa. E che cazzo, mi sbagliavo di brutto.
Pensavo che ad essere precisa, puntuale, diligente, trasparente, onesta sarei stata una persona migliore e mi avrebbero voluto più bene. Sbagliavo di brutto. Non c’è nessuno che mi ami (o non mi ami) per quella roba lì. L’uomo che mi ama e da cui, unico, accetto di essere amata, mi ama così come sono, povera ricca e strana nella mia ineffabile, imprevista, essenza rosso carminio e blu elettrico.
La mia diligentissima, onestissima, precisissima me stessa non è capace di guadagnare tanti soldi, non è capace di farsi benvolere, non attira sguardi compassionevoli e nemmeno osservazioni mediocri, però si veste con abiti adeguati e colori sobri, si comporta, si sforza di non usare il turpiloquio, non impone ma raccomanda, sorride quando la prendono a schiaffi. Fuori la prima: la mia diligentissima me stessa si sente meglio ad essere strabiliante, anche se fa strano quasi a tutti tranne che a Luigi (e a Francesco). Lei e il suo cazzo di vestito blu.
La mia stessissima me stessa ha scoperto che un altro essere umano non ti parla più e non saprai mai perché. Fuori la seconda. Non ti ho mai mentito, se non mi vuoi, lasciami andare ma non farmi male.
Ingrassa se non sorride, la mia stessissima me stessa, che fa la colazione da manuale e poi si ammazza di spritz. Fuori la terza. Non è colpa dello spritz, non è merito della colazione. Il mio corpo fa quello che io gli chiedo di essere, e se gli dico che essere me fa schifo, lui si adegua.
Devo continuare? No, non serve. Stasera mi concentro, ricomincio, e mi ricordo che io ho già costruito il grande ponte, il ponte della libertà. Mi basta la protezione zero spalmata sopra al cuore.
Ci sono Giulio e Veru, Dani ed Aldo, Umberto, la mia mamma, Massimo, Francesco, Andrea. Ci sono bici e piedi e scarpe da ginnastica. Leggins variopinti, cibi inusitati, occhi da cerbiatto, genitori adottivi, mani che sentono, occhi che parlano senza neurotrasmettitori. Ci sono un sacco di cose che ti insegnano che essere qui e sentire, gioire, resiliere, tornare a casa, sorridere e risposare sono il modo migliore per vivere.
Ecco, allora, a parte dire grazie, volevo dire una cosa che per me è importante: non so cosa scriverò da adesso a poi per sempre. Non so neanche se scriverò, perché magari si scopre che l’amore io ve lo dico coi fiori e non con le parole.Ma vi prometto, lettori miei amati uno per uno come le gocce d’acqua nel deserto, che ne sarò all’altezza.
Lo scrivo perché ho scritto tante cose che erano più basse di me, ma Alice non ha mai raccontato un mondo che fosse meno che perfetto. Alice è andata nel paese delle meraviglie. Alice ha attraversato lo specchio. Alice è Alice ed è lei e sono io, ed è Lewis Carrol e sono gli incubi ed è la felicità ed è il sogno ed è la matematica e poi tutto finisce ed è rimasto quel granello di cenere che si chiama presente e fa paura e poi gioire e poi che cazzo me ne frega del cortisolo e della adrenalina. Faccio quello che voglio ed ho un po’ paura ma vi invito a provare come ci si sente (e a raccontarmelo, se vi va, perché mi farebbe sentire più viva ancora).
Mi ci concentro, ci vorrà tanto, farò fatica, magari scriverò poco: scrivere della fatica non è edificante e io non sono brava a sentirmi dire che non sono brava. Però, epperdio, stasera imparo e da domani alleno una nuova competenza: io sono capace di essere Chiara, non solo chiara. Nata l’otto settembre del millenovecentosettantasette. Chiara.
Paga di questa me che adesso non è magra come vorrebbe perché di stronzate ne ha inanellate troppe e da qualche parte il conto si paga, tiro le fila per dire che adesso no, stasera no, non sbarluccico di gioia. Ma siccome le cose brutte sono passate, io adesso respiro. Perché?
Perché Equitalia c’è, ma non tutti siamo cattivi pagatori.
Perché la violenza sulle donne esiste, ma non tutte ne siamo vittime incurabili. Così, ringrazio l’uomo che mi ha tradita e percossa, perché mi ha aiutata a trovare la mia strada.
Perché il tradimento c’è, e qualcuno non ne è all’altezza e ti dà la colpa (ed è molto singolare che in questo preciso momento suoni Everlong dei Foo Fighters). Quelli che non sono all’altezza diventano violenti. Io sono all’altezza, non lo sono.
Perché posso dipingermi le unghie di rosa.
Perché parlo con gli stranieri e mi piacciono un sacco.
Perché chiedo le ricette agli chef ed improvviso il piatto e fino ad ora mi è riuscita benissimo.
Perché la casa è aperta e quando sperimento che qualcuno lo accetta mi sento che rimbalzo. Bam-Bam-Bam-Wow. Provate il rimbalzo di una percussione.
Perché se mi maltrattano senza ragione mi viene da piangere e forse non è un peccato.
Perché ho passato tutta la vita cercando la verità e poi ho tamponato una testa di riccioli neri che sorrideva, così ho scoperto che la verità non c’entra niente: c’entra la sintonia.
Io non lo so se sboccerà l’agapanto al solstizio d’estate, tra un mese. So che ci sono il gatto, i pesci, i fiori, le piante officinali e le zanzare. Che respiro adrenalina adesso, ma che passerà. Che l’ossitocina e Luigi Boaretto per me sono sinonimi e che possiamo scegliere dove tatuarci la molecola (insieme).
So che ha un senso la paura dell’ignoto, so che la caverna di ciò che non controllo attiva la mia amigdala. So che io voglio vivere in modalità responsive, anche se adesso, incontrollatamente, agisco reactive.
Non ho mandato alcuna mail, ho scritto sul Guscio, quindi solo a quelli cui interessa. Sarà qualcosa. Per me è tanto.
Quindi buona vita lettori miei,
io adesso faccio un casino, ma lo faccio bene (e ho anche qualche sacro consiglio che qualcun altro può darvi).
Dio benedica Luigi e quel giorno che abbiamo ascoltato #NicoloCavalchini senza sfiorarci,
Chiara