Sulle note della ‘Felicità’ di Lucio Dalla, vi scrivo, dopo aver ascoltato tutto il cielo della città di Bologna nella notte del 4 marzo 2017. Quattro marzo.
Sulle note del ricordo di un cineoperatore che dice ad un diciassettenne ‘hai un grande futuro’, vi scrivo, dopo aver guardato da adulto la fatica intensa di un piccolo uomo ed aver capito in un secondo che non io sola sono Alice e che il Paese delle Meraviglie è vastissimo (e ci accoglie tutti).
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Evidentemente sto guarendo, evidentemente sto tornando a casa, evidentemente sta andando tutto bene… se ho fatto una giornata così.
Resiliesco. Io credo.
Quindi dimagrisco, vero?
Evidentemente sto guarendo, anche se a me non sembra, perché la vita dà segnali singolari: quattro diverse persone, in difficoltà, mi han cercata per trovare una via d’uscita. Loro, dal loro casino, quel doloroso rumore, chiamano me per non sentirlo più.
Sì, succede ancora. Succede ancora che qualcuno chieda un consiglio, una indicazione. Chieda coraggio, spinta, fiducia. Chieda magari solo ascolto e, moderatamente, opinione. Succede ancora.
Vuol dire che io sto tornando io?
Vuol dire che non sono più il fantasma con le occhiaie in cui mi ero trasformata, stoccando in adipe l’energia che non sapevo più dare al mondo?
Succede che magari muore il fantasma, se ne va l’adipe ed io torno ad essere energia?!
#energia #sorriso #voglia #carica #forza #bracciaaperte #speranza
e la decina di hashtag che potrei dare al mio contributo all’umanità.
hashtag fuoriceilsole?!
Succede. Forse.
Forse ma forse! Ma sì!
#comecantavaVasco
Succede, forse, che io sia ancora io.
Io sono viva e sono qui (#Claudio! Claudio!)
Il fatto che io non mi riconosca è quasi un dettaglio. Forse sono solo spaesata. Forse è solo perché oggi, proprio oggi, fa ‘tra sei mesi’. Eh sì, perché tra sei mesi compio quarant’anni e se mi guardo allo specchio mi faccio un po’ schifo e se sommo i miei successi professionali passo dallo schifo alla pena. Però forse non sono proprio obiettiva, io che non ho mai considerato dignitoso qualcosa che fosse meno del massimo. Per tanti versi sono spaesata: non mi sento, ecco, esattamente a mio agio. Sono fuori dalla mia zona di comfort?
Ho paura di essermela fottuta anni fa, la zona di comfort. Mi è rimasto uno scampolo di lino sfilacciato e la percezione che io possa andare ovunque ed in nessun dove e che la mia zona di comfort finisca ed inizi nello stesso posto: ovunque ed in neverland.
Mi han chiesto aiuto quattro persone oggi.
Licenziamenti, dimissioni, CV, ricerche, possibilità. Mi han chiesto la mia opinione. La mia, capite? Non una qualunque. La mia. Quattro persone.
Mi hanno ascoltata insegnare cinque persone, stamani. Avevano delle domande. Cinque. Cinque persone con delle domande.
Mi ha raccontato tante cose una persona a pranzo, oggi. Aveva voglia di sentire le mie idee. Uno. Uno che voleva sapere le mie idee.
Quattro + cinque + uno = dieci.
Cazzo, son laureata al DES, la saprò fare una somma.
Dieci.
Fermatevi tutti ed ascoltate Lucio Dalla adesso, che con la matematica ha sempre avuto problemi ma con le parole mai… fermatevi e mettete in coda le emozioni e ascoltate le note di ‘ ah, felicità, su quale treno della notte viaggerai?’
Chi di noi non ringrazierebbe il cielo per incontrare, in un giorno, dieci persone che ti chiedono di dire cosa ne pensi?
Io.
A me sembra normale. Per me è naturale aiutare. Per me è naturale rispondere. Per me è naturale spiegare. Naturale ed essenziale, che se scrivessi in Inglese suonerebbe molto più significante. Basic&Essential. Nasco e muoio al servizio, secondo le mie possibilità e competenze, credendo fermamente che in questo ci sia un senso profondo e bellissimo, anche se non pratico alcuna forma di volontariato istituzionale.
E siccome è tutto normale… sono ancora qui. Con la paura di non farcela, il coraggio dell’incoscienza, il peso che mi atterra al suolo, la voce che si rompe, il pragmatismo che ricalcola il percorso come Siri.
Un pezzo di me si è ancorato a questo noiosissimo suolo come il picchetto di una tenda da campeggio negli anni ottanta. L’altra parte di me, però, stasera si ricorda che so volare.
L’una è la parte di me che mi tiene in piedi anche se le mie caviglie non li sanno sopportare questi cinque chili di troppo. L’altra è quella che dice che siccome so volare, reggerò coi quadricipiti ed i polpacci il peso che le mie sottili articolazioni non vogliono sopportare. Camminerò lo stesso, veloce, abbastanza da ricominciare.
C’è un motivo per stare qui, adesso, che io non conosco, non capisco e nemmeno riesco a decodificare. Ed è un motivo più buio, profondo e incontrollabile di me. C’è un motivo per uscire da qui, brillare, sorridere e anche un po’ ‘spaccare’. Ed è quello per cui sono nata.
Nel mezzo io sto, di questi due motivi, e soffro abbastanza, essendo viva abbastanza, come cantava Liga. Sono viva abbastanza e di vita ce n’è abbastanza.
Mi guardo, adesso. Mi conosco e non mi riconosco, ma se qualcuno, più d’uno, mi chiede aiuto, vuol dire che io sono ancora io, anche se peso di più.
Cerco, nelle nicchie della realtà, fonti di ispirazione.
Sento, ascoltando molto concentrata, che sono ancora in grado di darne.
Inspira. Espira. Inspira. Espira.
Respira.
Non basta.
Ispira.
Già.
Questo funziona.
Inspira. Espira. Inspira. Espira. Respira.
Aspetta.
Inspira. Espira. Inspira. Espira. Respira. Aspetta.
Ispira.
Inspira. Espira. Inspira. Espira. Respira. Aspetta. Ispira.
Ditemi che è un mantra, una favola, una canzone che vince il festival di Sanremo, una stronzata. Ditemi quello che volete, ma questa è la mia vita:
inspiro ed espiro, per respirare.
Respiro per ispirare.
Nel giorno in cui mi sono ricordata com’era essere me stessa, scrivo.
Semplice, struccata maldestra.
Intelligente, curiosa, critica.
Sorridente, solida, coerente.
Lunga, morbida, accogliente.
Voglio tornare a casa,
voglio ispirare.