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delle Unioni Civili

Quindi non mi devo indignare. Mi tocca trovare un sinonimo.

Solo che io non sono irritata, crucciata, risentita, stizzita. Io sono delusa, triste ed anche un po’ schifata. Marco Paolini è uno dei modelli cui mi ispiro, ma io adesso sono indignata e continuerò ad esserlo, che vuol dire che se ha ragione lui io non sono Italiana.

Cazzo, io sono cristiana e voto PD. Cammino a testa alta parlando di solidarietà e di tolleranza, sostengo l’accettazione della diversità e la tutela dei deboli, dei piccoli, dei fragili. Cazzo, io leggo Enzo Bianchi e son d’accordo con lui, con Barbara Spinelli, con Muhammad Yunus, con Gandhi.

Cazzo, io mi vergogno di essere Italiana, oggi. Non mi vergogno di essere cristiana e non mi vergogno di essere di centro sinistra, mi vergogno di chi mi rappresenta (che io votato), mi vergogno della immagine che la nazione cui appartengo mostri questo vile, debole e trasformista ruolo di sé al pianeta.

E non sto parlando di ius soli, non di fecondazione eterologa, non di pena di morte. Non sto parlando di quelle grosse cose serie che regolano la società civile, sto ‘solo’ parlando di famiglia. La cellula primaria del tessuto sociale.

Cazzo, non siamo neanche capaci di riconoscere la famiglia.

Sono schifata, attonita, sono turbata, delusa ed arrabbiata per il testo approvato in Senato della legge sulle Unioni Civili.

La nostra Costituzione dice che: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale“, poi dice anche che “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”

Però sta legge di merda fa riferimento agli articoli 2 e 3 della Costituzione. Certo, perché così ce ne laviamo le mani, della diversità, proprio come Ponzio Pilato.

Ho letto il testo della legge nella sua nuova versione, ho letto la sintesi, ho letto i commenti, mi viene da vomitare.

E lo dico da cittadina, da economista, da cristiana, da elettore del PD e da divorziata: questo testo di legge mi fa schifo e fa a botte con gli stessi principi fondamentali su cui la Repubblica si fonda e su cui il Vaticano, che tanto influenza la nostra società civile, dovrebbe reggersi.

Comincio dalla fine: io me ne frego. Il sistema si cambia da dentro, siamo noi, ciascuno ed ognuno, gli ioni e gli atomi che costituiscono molecole, che fondano la composizione reale del tessuto sociale. Sono io, singolarmente, che posso contribuire con le scelte e l’esempio a fare un mondo migliore, praticando la comprensione, la curiosità, la tolleranza, l’apertura, la solidarietà, correndo il rischio di portare la mia personalissima storia in faccia al mio prossimo, seguendo i principi in cui credo. Se la legge, e quindi la regolamentazione della società civile, non mi rappresenta, ne promuoverò il cambiamento oppure cambierò ordinamento a cui aderire ed andrò a vivere in un paese più evoluto. Questo non ce la fa.

L’assemblea del Senato, che dovrebbe rappresentare anche me, ha approvato un Disegno di Legge che si intitola: Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze.

Cominciamo bene: le persone che convivono e sono dello stesso sesso sono diverse da me, secondo la legge, in culo alla Costituzione. Per me c’è la convivenza o il matrimonio, per loro c’è l’unione civile. Ma ‘loro’ chi? Quelli che si amano? Quelli che vogliono addormentarsi e svegliarsi assieme, costruire un pezzo di società, portare luce pace e gioia intorno? Quelli che vogliono ascoltarsi, assistersi, sostenersi reciprocamente sotto ogni profilo? Sono diversi da me? Buon Dio, se è così io sono matta.

Poi continuiamo meglio, volevamo equiparare ed abbiamo discriminato: l’art 143 del Codice Civile sancisce regole chiare: “dal matrimonio deriva l’obbligo reciproco alla fedeltà, all’assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell’interesse della famiglia e alla coabitazione”. Ma noi eterosessuali ce ne possiamo fottere della fedeltà, con pregna e condivisa consapevolezza sociale visto che non esiste più la colpa in una separazione. La coppia eterosessuale è tenuta (formalmente) alla fedeltà, quella omosessuale no, perché consideriamo i diversi da noi bestie e lo scriviamo in un disegno di legge.

Cristo, mi sembra di sentire la mia ex suocera che parla, quando diceva ad alta voce al mio convivente, che poi è diventato mio marito, che io non avrei potuto capire cosa diceva (e io stavo a tre metri di distanza in una casa molto poco insonorizzata): lei non è battezzata, è una bestiolina, lei è fuori dalla carità.

‘Loro’ evidentemente stanno anche fuori dalla carità, oltre che dalla Costituzione, in culo anche a San Paolo. La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia,  non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto,  non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità.  Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta (dalla prima lettera ai Corinzi, 13).

Trattiamoli come minorati, i diversi da me. Trattiamoli così secondo la legge ed anche secondo la fede, perché chi fa scelte che non sappiamo comprendere non è semplicemente difforme, bensì è abnorme. Quindi sbagliato.

Ma non possiamo dire criminale. Facciamo i buonisti moralisti di merda: diamo loro un posto, dicendo che è di serie B.

Facciamo loro quello che mai vorremmo fosse fatto a noi, proprio perché siamo cristiani. Non diamo a loro l’opportunità di ricevere secondo i loro bisogni e di dare nella misura delle loro possibilità, proprio perché siamo di sinistra.

E poi andiamo fieri di un disegno di legge che fa vincere l’amore, come dice il mio amato Matteo Renzi, che si deve essere petalosamente rincoglionito.

Ma vaffanculo. Aveva ragione Marco Masini a Capodanno.

Aveva ragione Oriana Fallaci: siamo un popolo di pecoroni vili e beoti.

Non aveva ragione Mussolini, no. Non siamo “Un popolo di poeti di artisti di eroi, di santi di pensatori di scienziati, di navigatori di trasmigratori“. Siamo stronzi, egoisti, ottusi, vili e spaventati. Quelle che predichiamo dalla storia, apprezzata o meno, sono lezioni che trasformiamo in favole per i nostri figli, al solo scopo di  non metterci davanti ai fantasmi del passato ed alle paure del futuro.

Approviamo disegni di legge discriminatori che ci consentono di lavarci la coscienza e vanno contro tutti i principi essenziali di ciò in cui predichiamo di credere, anziché semplicemente guardare con curiosità civile il cambiamento della società ed accoglierlo in un caldo e fraterno abbraccio figlio delle lezioni della crocifissione e del genocidio della diversità.

Poi ci fregiamo del vanto della evoluzione sociale, esportando all’estero un modello imbarazzante di cosa voglia dire davvero essere Italiano: mandolino, pizza, opere d’arte malcustodite e figa a pagamento.

Questo siamo. Chiedetelo ai miei amici all’estero che forse non hanno neanche più il coraggio di dire che sono Italiani.

L’ultima la dico da divorziata.

Non chiederò all’uomo che amo di sposarmi, gli chiederò di amarmi. Di fare, di essere, di costituire un nucleo famigliare che esporti al pianeta un modello, certi valori, le nostre scelte di vita. Non gli chiederò di soggiacere ad una stupida legge che, in quanto donna (e quindi supposta debole), mi dà il diritto di pretendere che la sua fatica di ogni giorno si trasformi nel mio mantenimento e nel mio benessere gratuito. Qualche matrimonio finisce, questo non mi dà il diritto di avvalermi di diritti che non ho solo perché sono femmina e moglie.

Il mio amato articolo 143, che recito a memoria, dice che: con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri, non che io ho il diritto di avere di più perché sono femmina e quindi guadagno di meno, valgo di meno, devo essere mantenuta.

Fino a che questo ordinamento non mi consentirà di (eventualmente) sciogliere un contratto senza avere il diritto di pretendere di più di quel che ho scelto di fare, io mi vergognerò di questa legge e di questo stato e non mi sposerò ancora. L’uomo che amo ha il diritto di costruire la sua vita, accanto a me o anche senza di me, esattamente come me.

Esattamente come l’ha avuto, contro la legge e secondo la mia volontà, quello prima, quello che ho sbagliato a sposare, ho cercato di amare ed ho rispedito al mittente senza chiedere niente.

Il disegno sulle Unioni Civili fa schifo, sì, perché discrimina chi non è come me ed impone a quelli come me di limitare chi è come me nelle sue libertà civili.

Pensate piuttosto al divorzio ed alle adozioni. Scegliete un ordinamento coerente con i nostri principi costituzionali e con l’etica cattolica che tanto dite permeare questo paese. Staremmo tutti molto meglio, molto più liberi, più coerenti, più felici.

Sono indignata, sì, e non durerà i pochi minuti di un orgasmo, alla faccia del mio amato Marco Paolini.

Posso cambiare la mia residenza, non voglio cambiare i miei valori.

Considero valore sapere in una stanza dov’è il Nord e quindi non sono una signora, come dicevano Erri De Luca e Loredana Bertè.

Considero valore l’uso del verbo amare e l’ipotesi che esista un creatore. Questi valori io pratico.

 

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