Ho cercato un altro album su Apple Music, stavolta però lo volevo da tanto tempo: mi son bastati il titolo, gli interpreti, il desiderio di andare lo scorso settembre al concerto a Roma. Niente concerto, in effetti: però mi son concessa il lusso di un desiderio, allora e poi ieri.
I miei desideri nella maggior parte dei casi non si realizzano, ma la musica, per dio, quella non mi viene mai a mancare e mi permette di lasciare che gli eventi del tempo e quelli senza tempo si sovrappongano, che i sogni e i ricordi si mescolino in un gomitolo, che gli errori diventino lezioni, che i rischi si trasformino in opportunità oppure in nitide reazioni di autoprotezione.
L’album ha trentasei canzoni, io le so tutte a memoria. Quelle buone per me, di questi tempi, sono sette. Quelle sette che penso basti ascoltare per sapere come sto, cosa sento, di cosa sono fatta: acciaio, cristallo e sogni. Chi mi ama dovrebbe aver capire tutto solo dalla playlist.
Ho una giornata piena di soddisfazioni alle spalle, di quelle che consolano dal dolore, dalla fatica, dall’incertezza e quindi dalla paura del futuro. L’unica paura che resta del futuro è di non esserci. Sono qui a metà tra due telefonate, una di mattina ed una di sera, una voce dal presente ed una dal passato, e tutte e due che mi hanno detto: grazie di essere qui. Non ho paura del futuro perché credo in quello che faccio, faccio quello che dico, dico quello in cui credo e poi dopo mesi, e delle volte anche dopo anni, misuro che ho fatto bene. Tra sparare oppure sparire scelgo ancora di sperare, finché ho vena respirare, finché ho un cielo da spiare per sapere che io sono viva e sono qui.
E allora spiegatemi perché sono capace di citare il maestro Yoda che dice: ‘fare o non fare, non c’è provare’, perché non ho paura di affrontare qualunque rompicapo, platea, situazione o dinamica, qualunque sia la lingua in cui mi esprimo, e poi stasera pianga come un neonato ricordandomi mio padre che mi canta: avrai sorrisi sul tuo viso come ad agosto grilli e stelle… avrai avrai avrai la stessa mia triste speranza e sentirai di non avere amato mai abbastanza se amore amore amore amore avrai. Spiegatemi perché quella bambina di nome Chiara non è mai stata piccola, per poi trovarsi a quasi quarant’anni a sentirsi fuori tempo. Troppo vecchia per essere leggera, troppo giovane per essere così responsabile. Avrai canta dei ricordi che dovrei avere e di quel vento pieno di futuro che avrebbe dovuto spingermi lontano, non di quei pesi che non volevo e che mi son dovuta prendere e che, adesso che forse dovrei accogliere benevolmente, non intendo sopportare.
Mi sento sola, terribilmente sola. E non parlatemi del bicchiere mezzo pieno, venite a fare un giro qui, prima di parlare, dove la Chiara grande e la piccola Chiara non si sanno accontentare di una esistenza fatta di briciole ma son sempre le più forti, non si possono fermare, appoggiare, né concedersi il lusso di un desiderio che magari si avveri. Venite a fare un giro su questo ottovolante prima di sparare sentenze da psicologo della domenica su una rivista per signore dal pulpito di una vita ricolma di finzione scenica terribilmente ben interpretata. Anzi no, meglio se rimanete a casa. Son pochi quelli che possono capire come si sta, dentro a se stessi e fuori dal guscio. Qui fa freddo, da soli. Molto freddo, anche nelle giornate piene di soddisfazioni.
I Capitani Coraggiosi sono due ed io mi sento come loro, con una voce che lascia il segno nelle vite degli altri. Cantano da padri, da figli e da uomini. Io li ascolto da donna, figlia e mai madre e ritrovo nelle loro parole tutte le pieghe della mia vita: mi spunta un sorriso, mi scende una lacrima. In certi momenti, assieme, una curva di commozione.
Nella palude di questa giornata ho messo insieme certe solide soddisfazioni e la mia immensa solitudine da Cassandra, ho guardato me stessa piegare dal fremito al coraggio, dal nervosismo all’entusiasmo, dalla fatica all’autoalimentazione. Stasera, seduta accanto alla Rosa di Gerico ed alla clessidra, ero tutta lì, isterica e cenestesica, stanca e lucida, sfatta e bella, acuminata e lucida come una lama di acciaio, fragile e delicata come un bicchiere di cristallo.
Con sette canzoni mi son svegliata, ho viaggiato, mi addormenterò, io, ammiraglia da guerra, sola. In questo grande immenso bisogno di amore che ho. Non ho neanche bisogno di dire che vorrei qualcuno che mi assomigliasse un po’, perché già c’è. Solo che non so se faccia miracoli.
Adesso i pezzi vengono in cascata, uno dietro l’altro, a raccontare il mio ottovolante. Io ed i miei occhi scuri siamo diventati grandi assieme… se sei a terra non strisciare mai, devi contare solo su di te… la vita è adesso nel vecchio albergo della terra.
Trovo ogni giorno, mentre cammino, quel gancio in mezzo al cielo. Lo prendo, come uno ski-lift, credo nel fatto che domani sarà migliore. Poi mi schianto, poi trovo un altro gancio. E fare questa strada, sempre in salita, è sempre più faticoso. Come la marea, mi porta in secca ed in alto mare in mezzo a persone che mi guardano come se fossi una specie di aliena, chi terribile, chi meravigliosa. Sono solo io. Io che mi basto e mi amo così, e tanto patisco di essere così.
Ho mal di testa, perché ho coraggio, ma ho anche paura.
Mi vien da piangere, perché non posso cambiare le cose.
Mi spavento, perché mi illumino da sola, come una supernova, e poi vedo quell’ombra lunga lunga che lascio dietro e dentro di me, figlia mia e del mio profondo lato oscuro.
Ogni mio ancoraggio stabile finisce con l’ultimo giorno di febbraio di questo anno bisestile, oltre non vedo. Ho una lista così lunga di ‘già visto’ e ‘ce l’ho’ che non riuscirei a riassumere in una slide. Vedo il sistema che cerca di richiudersi su di me, sento il pericolo che l’eterno ritorno nietszcheano si trasformi in un circolo vizioso anziché nell’Auryn, temo che ripetere errori commessi sia più facile che prendere una deviazione improvvisa che mi conduca sulla via maestra.
Riposano da qualche parte, stasera, il guerriero e la locomotiva, si vede che eran troppo stanchi e pieni di soddisfazione, mi han lasciata da sola.
Dorme abbracciata ad Omicron la piccola Chiara. Non aveva paura di andare a nanna, perché sapeva che nell’altra stanza ci sono io a vegliare.
L’interpretazione possibilista sta scrivendo un business case, la scrittrice pensa al suo nuovo romanzo in business pink.
L’ultima tentazione di Cristo è morta da tempo.
Sulla sedia bianca, stasera, ad ascoltare i Capitani Coraggiosi, ci son rimasta solo io. Forse è per questo che mi sento sola. Io che ho paura di tutto quello che non controllo. Io, soprattutto, che sono precognitiva e che ci credo, ma davvero non lo so come va a finire.
Cosa pensa il trapezista mentre vola?
Un’ultima cosa penso: un viaggio come il mio, probabilmente, non vuol farlo nessuno. Ma c’è un solo modo di farlo, davvero. Un viaggio così ricco, intenso, difficile e pieno di significato, perché sia bello, si fa in due.
Non volevo essere ermetica, nemmeno riservata, è che avevo bisogno delle parole ma non me ne sono venute altre. L’ho fatto per me. Non sono felice, ma sto bene. Ho piantato tutti i semi, annaffio la terra, il terrazzo della vita che coltivo è enorme, pieno di gemme e di cappucci di tessuto per il gelo dell’inverno. Non tutto dipende da me, non sono perfetta, apprendo ogni giorno, tengo gli occhi aperti ai crocicchi e quadrivi, ma aveva ragione Aristotele nella sua Etica Nicomachea. Io voglio l’εὐδαιμονία.
Per quella non basta un atomo, ci vuol di costruire una molecola con un solo, perfetto, legame covalente.
Chiudo così, con la speranza. Grazie perché mi eri vicina ancora prima di essere mia e perché vuoi un uomo amico, non uno scudo vicino a te. Grazie che vai per la tua strada, piena di sassi come la mia. Grazie perché anche lontano tendo la mano e trovo la tua.
E spero un giorno di poter rispondere in duetto, con le parole cantate da Amii Stewart.
***
Il flusso di coscienza sui Capitani Coraggiosi scorre su queste note:
Io sono qui
Avrai
Varietà
Strada facendo
Uno su mille
La vita è adesso
Grazie perchè
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