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Sulle note di ‘Ridere di te’

Ho ritrovato, stasera, una traccia indelebile della mia adolescenza che avevo smarrito. Indelebile e pur smarrita. Strano, no?

Una di quelle tracce del passato che mi fan pensare che non me ne frega niente se mi prendete in giro perché sono voluta andare a tutti i costi al concerto di Paolo Vallesi al teatro Smeraldo quando avevo quindici anni. Io ne vado tutt’ora fierissima.

Ne son passati ventitrè, di anni. Quasi il triplo. E stasera?

Stasera ho scoperto che quel dolore sordo, che schiacciava la ragazzina informe che ero, l’ho nascosto benissimo. Forse nemmeno l’ho mai raccontato, allora.

Quando lo faccio adesso a stento mi credono: io ero una di cui ridevano, io mi vergognavo di essere.

Siam state tutte adolescenti, mi immagino. Ci siamo fatte tutte un po’ schifo e paura, immagino. Per me è stato un po’ peggio che per tante altre, io credo, peggio che per quelle belle, per quelle piene, per quelle fisicamente e sessualmente mature. Ero un carciofino aspro e piatto, né sottile né tondo, fatto tutto di testa, obiettivi, paure enormi ed un corpo senza significato espresso.

Non mi riconosce nessuno (quasi), ma io sì.

Risento quell’eco profonda e ridondante tornare, dopo un secolo, a farmi versare una lacrima calda di tenerezza e compassione per quella piccola me che sapeva a memoria la favola ma non aveva capito che è vero che si può nascere cigno tra le anatre.

Capita così che una sera, questa, giocando con Apple Music, mi sia venuto di cercare, per caso o per una perfetta sincronicità sulla strada che ho scelto di fare, uno dei miei vecchi amori: Paolo Vallesi.

Ho letto ‘Ridere di te’. Ho schiacciato *play*. Dopo tre note mi son scovata a piangere.

Poi ho notato qualche particolare sottile, ascoltando e riascoltando queste parole semplici su una armonia abboccata: lasciarsi andare non conviene… l’amore è sempre un po’ crudele… stai male e non ti vuoi più bene.

La canzone è stupida mi direte, ma dice che ‘ridere di te nessuno deve’. Io sento ancora lo stesso dolore ascoltandola, quello che racconta che han riso di me e non dovevano.

La canzone stupida, allora, la dedico a tutti gli adolescenti che si affacciano coi brufoli, la voce che cambia, il sudore acido ed il corpo senza curve, muscoli o spigoli, alla storia della vita: nessuno deve ridere di voi. Nessuno deve punirvi perché avete desideri strani e percorsi difformi. I vostri compagni di strada fanno la stessa strana fatica e non possono capire la vostra, per questo sono (o sembrano) ostili e discriminanti.

Noi adulti sì. Noi sì, noi siamo tenuti ad incentivarvi ed ascoltarvi, cercando di capire quale sia la fonte di certi dolori insopprimibili che, tanto tempo dopo, possono sembrarci stupidi. Nostro il compito di aiutarvi a levarveli di dosso prima che diventino malattie croniche o divergenze sociali insostenibili.

Sono stata una adolescente facile, disciplinata ed inconsapevolmente insofferente. Non so da dove venga questo carico, non so perché stia qui con me, non so come levarmelo da sola e ce l’ho ancora addosso (ma ho chi mi aiuta a non portarmelo al mio ottavo lustro).

Sono stata una giovane adulta che ha incontrato l’uomo sbagliato che le ha insegnato a guardarsi con lo sguardo giusto, l’ho chiamato Stranamore perché altro nome non avrei saputo dare, avevo già deposto le armi.

Sono diventata una splendida adulta, piena matura e consapevole, che non si è scrollata di dosso un ricordo che nell’intimità profonda torna e ritorna come un rigurgito acido di vomito. Non va bene, no, non va bene.

Quel ridere, che tanto suona deridere, nessuno deve. E sul nessuno avrebbe dovuto, stasera non posso che transare col passato. Passato è, il passato.

 

Mi sono rimasti addosso quel ‘lasciarsi andare non conviene’, quel ‘che non troverai chi ti vuole bene ormai’ ed anche quel ‘non sei tu che sei sbagliata’. Così addosso che non so fidarmi di alcuno e mi chiedo sempre cosa ho sbagliato.

La serie storica mi dice che non sono mai riuscita a farlo.

Il mio amore per la coda destra mi dice che ce la farò, più prima che poi.

Non sempre è pericoloso, non tutti ridono delle creature delicate.

***

Ridere di te

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