Pare che sia di nuovo venerdì.
Pare che io sia ancora stanchissima.
Pare che non ci fossero, nemmeno oggi, braccia forti a sollevarmi.
Pare che io non sia Montalbano e che non ci fosse una cena di pesce pronta in frigo preparata dalla fedele Adelina.
Pare che i miei occhi asiatici siano diventati due fessure e che io abbia la voce rotta dal nervoso, dalla frustrazione, dall’impotenza e dalla fatica.
Pare. Già.
Ma forse non è vero.
Sarà anche venerdì, e sarò anche a casa decomposta dalla fatica, però ho lunedì, martedì e mercoledì. Come in una canzone dei Cure.
Un lunedì con l’afterhour, che ho mangiato pesce parlando di futuro, non ho chiuso occhio tutta la notte e sono stata sollevata di peso dal pavimento, a ricordarmi che posso essere leggera oltre che pesare poco. Un martedì massacrante, finito troppo tardi ma abbastanza presto da preparare la cena, apparecchiare la tavola e pasteggiare a prosecco e conversazione metafisica con il più bello e sfuggente dei miei pezzi di cuore. Che ora è già tardi ma è presto se tu te ne vai (cit.). Un mercoledì da leoni, tra chi mi tratta male e chi mi vuole bene, concluso in dieci a tavola, nell’angolo dei grandi, a dire cose serie e stupidaggini nel raggio di un verbo ed un limoncello.
Al fatto che ‘it’s Friday, I’m in love’, ci penso un’altra volta.
Sarò anche stanchissima, ma chissenefrega.
La settimana è andata, nella mia testa domani faccio un giro in moto anche se devo lavorare, la schiena smetterà di farmi male, l’amore arriverà ed io capisco, oggi, che sono ancora una locomotiva a vapore, potente e romantica, che traina con entusiasmo fiduciosi vagoni nella vita.
Sarà che la cena non c’era, ma a Ground Zero c’è tutto quello che mi serve. La musica accesa, il gatto che fa le fusa, la carne bianca in freezer, il Refosco in bottiglia. La mia socia che viene a controllare che, tutto sommato, io sia ancora viva e mi ascolta ad occhi sgranati e padiglioni auricolari tesi. E poi mi sorride.
Sarà anche che ho gli occhi così sottili che sembran due fessure. Però son belli, i miei occhi asiatici.
***
Tutto sbagliato nella mia vita, lo so. Dalla agghiacciante solitudine esistenziale che si annega nell’imprecisato numero di ore che spendo a lavorare per poco risultato, alla spaventosa incontenibile energia che metto nelle cose che faccio senza che mi giovi in alcun modo.
Dall’amore che do allo sforzo che faccio a non aspettarne in cambio.
Dalla spaventosa fatica alla risibilità del risultato.
Eppure?
Fanculo la stanchezza, fanculo la fatica, fanculo questa lacrima che si affaccia agli occhiali bianchi.
Fanculo quei momenti in cui mi sento così sola che vorrei morire.
Io canto.
Perché: ‘Quando la vita si fa dura sai che devi fare? Nuota e nuota, zitto e nuota.’
***
Scrivo, guardo il gatto che dorme, e nuoto.
Accendo la più bella canzone che Claudio Baglioni abbia composto, e nuoto.
Verso una lacrima, e nuoto.
Guardo quelle due splendide maschere sulla parete verde, un re ed una regina, e mi immagino quello che ricordo e ricordo quello che ho immaginato, e nuoto.
Sfanculo tutto e tutti, che a sfanculare io sono bravissima, singhiozzo e poi sorrido, e nuoto.
***
Sorrido, poi singhiozzo, poi sorseggio, poi piango, poi sfanculo, poi sorrido.
***
Passerà, io lo credo, che passerà.
Un giorno starò bene, su questo allucinato ottovolante che mi han detto essere la mia vita.
Me lo dice una rosa rossa che ho trovato sul terrazzo l’altro ieri, recapitata dritta dal cielo. Sta lì, distesa, tra le maschere blu e la mano di Buddha. Sta lì, mi parla senza guardarmi, non si piega, fragile e delicata, alle stupide curve della vita: mi dice che io ci sto da dio, in piega, su questo sellino troppo piccolo per il mio corpo lungo e flessibile, sapendo con certezza che le ginocchia che mi arrivano ai gomiti mai toccheranno il suolo.
Sto in curva, in piega, mi adatto, eretta, respiro e vedrò.
***
Io ed i miei occhi scuri siamo diventati grandi insieme
con l’anima smaniosa a chiedere di un posto che non c’è
tra mille mattini freschi di biciclette, mille più tramonti dietro i fili del tram
ed una fame di sorrisi e braccia intorno a me.
Io e i miei cassetti di ricordi e di indirizzi che ho perduto,
ho visto visi e voci di chi ho amato prima o poi andar via
e ho respirato un mare sconosciuto nelle ore
larghe e vuote di un’estate di città
accanto alla mia ombra nuda di malinconia.
Io e le mie tante sere chiuse come chiudere un ombrello,
col viso sopra al petto a leggermi i dolori ed i miei guai,
ho camminato quelle vie che curvano seguendo il vento
e dentro a un senso di inutilità…
E fragile e violento mi son detto tu vedrai vedrai
vedrai…
Strada facendo vedrai
che non sei più da solo
strada facendo troverai
un gancio in mezzo al cielo
e sentirai la strada far battere il tuo cuore
vedrai più amore, vedrai…
Io troppo piccolo tra tutta questa gente che c’è al mondo,
io che ho sognato sopra un treno che non è partito mai,
e ho corso in mezzo ai prati bianchi di luna
per strappare ancora un giorno alla mia ingenuità
e giovane e violento mi son detto tu vedrai, vedrai.
Vedrai.
Strada facendo vedrai
che non sei più da solo.
Strada facendo troverai
anche tu un gancio in mezzo al cielo.
E sentirai la strada far battere il tuo cuore
vedrai più amore vedrai…
E una canzone neanche questa potrà mai cambiar la vita
ma che cos’è che ci fa andare avanti e dire che non è finita
cos’è che ci spezza il cuore tra canzoni e amore,
che ci fa cantare e amare sempre più
perché domani sia migliore, perché domani tu…
strada facendo vedrai.
***
Grazie ad Anna, a Silvia, alla mia mamma.
Grazie a Luigi, a Claudio, a Massimiliano, a mio padre.
Grazie a chi mi ha dato un bacio, a chi mi ha sollevata da terra, a chi mi ha ricordato che sono ben fatta così.
E grazie a quel pazzo che dice che l’amore porta amore.
Insciallah.