Domenica di maggio, una di quelle in cui la vita pulsa forte e chiede risposte, azioni, braccia aperte, sangue caldo. Una di quelle da stare al sole a dorare la pelle di luna e ristorare il cuore affondando naso e occhi nella grande bellezza.
Domenica di maggio, già.
Perfetta per un inatteso invito a camminare nel pieno centro della splendida Milano di primavera, col cielo blu che spacca gli occhi per quanto è vivido ed il sole che picchia sui cappelli delle signore della créme de la crépe (sic) della città.
Pienissimi, i giardini di via Palestro. Di persone, sacchetti, domande, fiori. Orticola 2015. Ed io che neanche sapevo esistesse…
Tre ore a piedi sotto il sole e dentro ad una brezza leggera, tra polvere di sassi e ragazzi con i carrelli che offrono i loro servigi per trasportare i fiori.
E a che servirà mai un carrello per comprare una piantina?
Ecco, l’ho scoperto dopo a cosa serve.
Dopo che mi sono innamorata di un fiore sudafricano col nome greco. Dopo che ho scoperto che anche io posso avere un giardino giapponese sul terrazzo. Dopo che ho affondato la faccia nelle foglioline della Euforbia e son rimasta un quarto d’ora, incantata, a rimirare la perfezione delle foglie degli aceri.
E allora son tornata a casa, senza carrello, sì, ma con quattro braccia oltre alle mie che trasportavano fiduciose la più bella espressione della vita sul pianeta verso la mia accogliente piccola dimora verde e lilla.
Sporca di terra come una contadina, piena di polvere e fradicia di acqua di stagno, io, con la mia pelle bianca e le mie dita lunghe che non sono capace di fare una sola cosa con le mani che non sia scrivere (o cucinare), mi son messa con calma a parlare al gatto delle nuove abitanti di Ground Zero che cercavano casa e amore e note da ascoltare. Ho acceso una playlist piena di gioia meditativa, le ho messe piano piano sul pavimento, ciascuna nel suo vaso di acqua e terra e torba, le ho spruzzate di quel terribile concime puzzolente che si chiama Sangue di Giuda e le ho spostate ancora, ancora ed ancora finché ciascuna non ha trovato il suo posto.
Il suo preciso, perfetto, incantevole luogo. Sì, perché in ogni espressione della grazia, ogni cosa ha il proprio senso e quindi posto.
Stasera la terrazza di Ground Zero è magica più che mai: davvero lo spettacolo della grande bellezza, pronta ad accogliere ogni mio caro pezzo di cuore nell’infinita e meravigliosa imperfezione di un angolo di città all’aperto, tra cene improvvisate, zanzare, bottiglie che non mancano mai e musica che suona a tutto volume fin che ce n’è.
E finché ce n’è, allora, dico grazie a chi mi ha portato con sé, oggi.
Perché ho scoperto che il mio grande amore per Monet e le sue ninfee si può fare anche qui, dentro una palla di metallo color ruggine che racchiude in sé la ricchezza del pianeta, in un’oasi acquatica mignon.
Perché da adesso anche io ho un giardino giapponese, magico e perfetto, con un fiero acero rosso accanto al Giacinto ed al Nontiscordardime d’acqua.
Perché aspetterò ogni mattina, con trepidazione e curiosità, quei meravigliosi fiori blu sbocciati tra le foglie del fiore dell’amore, sudafricano Agapanto.
Meraviglioso, in questo attimo, il terrazzo di Ground Zero. Per questa domenica di maggio, perfetta, in cui ho sentito scorrere nel sangue la vita e mi sono ricordata che voglio sempre stare così, alta, vivace, fiera e bellissima, nel mio giardino privato.
Saluti dallo spazio, le fragole maturano anche qua.
***
Sopravvissute tutte al freddo dell’inverno, la terrazza di Ground Zero ospita, alleva e custodisce con amore e qualche miagolio, in rigoroso ordine di apparizione:
una Miseria Nera (Tradescantia fluminensis), portata qui dalla ridente Imperia, che cresce prospera e già è fiorita di viola e lilla;
un Geranio rosso (Pelargonium zonale) sopravvissuto inspiegabilmente a tre inverni in questa strana serra sui generis;
un Plumbago celeste (Plumbago auriculata) che mi ricorda le lunghe passeggiate liguri a scender dalla collina del Quartiere Azzurro;
una Euforbia (Euphorbia cyparissas) appena invasata, già piena di microscopici fiori scuri;
un Ibisco perenne rosa (Hybiscus syriacus) splendido dono al terrazzo dalla mia mamma;
un Melograno (Punica granatum) che sembrava dover morire ed invece ci ha addirittura regalato un frutto di buon auspicio per l’ultimo dell’anno;
una Bouganville violacea (Bougainvillea spectabilis) arrivata qui tre anni fa, ormai diventata il mio adorato piccolo albero di fiori;
una Dipladenia (Mandevilla boliviensis) trovata per caso in un vivaio in pieno agosto, pienissima di fiori rosso Chiara;
un Agapanto (Agapanthus africanus), che è il fiore indaco dell’amore. Punto.
Un Acero Rosso (Acer japonicum). Bonsai. Perfetto.
Un giardino acquatico di Giacinti (Eichhornia crassipes) e Nontiscordardime (Myosotis palustris).
Cinque spezie per cucinare e preparere gaudenti aperitivi:
Menta, Timo, Basilico, Salvia e Rosmarino, proprio come in una canzone di Zucchero
e due bimbe di cui non conosco il nome, battezzate per provenienza:
la pianta della Nonna e quella di Barbara, che crescono forti e rigogliose e si riproducono per essere donate a chi mi è caro.
Una Rosa di Gerico, che si apre con l’acqua e si chiude senza, come il mio cuore quando ho e non ho amore da dare, che però sta dentro casa, vicina a me.
Per chi le volesse osservare, le vivide immagini del terrazzo di Ground Zero sono su Facebook, pronte ad arricchirsi di colore estivo man mano che il cielo mi darà il dono dei loro fiori: qui.
Ciao “agricola”, curare le piante e in genere fare lavori manuali ,secondo me, scarica lo stress della settimana !!, a proposito ci rivedremo ?