Il Guscio è tiepido,
il Guscio è viscido,
il Guscio è accogliente.
Il Guscio ha un suolo sdrucciolevole,
ma è rassicurante.
Il Guscio è chiuso,
per questo è luminoso:
la luce è artificiale, come a Trantor.
Il Guscio è pieno di favole:
le favole sono desideri, degli altri.
Nel Guscio ci stavo bene. Perfettamente incagliata nell’angolo miracolosamente progettato per me. Una nicchia senza spigoli, la casetta di Truman.
Cazzo, nel Guscio non si riesce mai a far contento nessuno. Però tutti continuano a sorriderti, perché tu continui a provarci.
Nel Guscio ci sono molte categorie, che adesso so che appartengono alla categoria delle minchiate.
Nel Guscio ci sono
le persone perbene
i comportamenti disdicevoli
i libri che meritano di essere letti
la musica che vale la pena di ascoltare (e soprattutto quella che non).
Le scoperte sono riservate a pochi. Non è che ti puoi presentare un giorno dicendo: ecco una novità. Perché magari è un nonsense.
Ecco, nel Guscio c’è la categoria dei nonsense, che ovviamente descrive solo cose fuori, dal Guscio.
Non c’è molta libertà, però cresciamo educati alla democrazia e alla tolleranza (nel Guscio). Quello che sta fuori è abbastanza sbagliato, ma solo abbastanza, perché noi del Guscio non giudichiamo.
Il problema è che mentre vivi qui dentro, con quel calduccio umido un po’ appiccicoso che ti fa sentire a casa d’estate, non te ne accorgi, che non sei libero.
Nel Guscio cambiare idea è sbagliato, perché è cambiare direzione e abbiamo tutti dei bei binari che escono fuori dalle nostre rassicuranti nicchiette. Quindi, se cambi strada, deragli. È matematico.
È anche vero che se deragli il soccorso stradale è rapidissimo. Vengono, nel dubbio ti danno una supermulta salata e un paio d’ore di detenzione, però poi ti curano, ti fanno cicatrizzare tutte le ferite e ti danno delle medicine che ti aiutano a riprenderti. Così dopo non deragli più.
Tutte pillole blu, mi raccomando.
Dentro al Guscio io sapevo sempre dove andare e cosa fare. Avevo programmato tutto. Perfetto. Quadrato. Con le spunte ad ogni item della mia infinita lista di pending.
Il problema è che cresci, e se diventi abbastanza strano, potrebbe anche capitare che incontri il Bianconiglio e, se lo segui nella sua tana (ma potevi non seguirlo?), becchi il tallone d’Achille del Guscio.
E il Guscio si rompe.
Io non volevo.
Non avevo neanche capito che era il Bianconiglio.
Io non volevo. Non vorrei neanche adesso, se potessi scegliere, certi giorni. O forse sì.
Appunto.
Misi fuori prima gli occhi, così vidi e mi incuriosii. Poi il naso e la bocca: profumi inauditi, sapori brillanti, colori sapidi.
Sinestesie inaccettabili, nel Guscio.
Però… un assaggio… di quella pillolina rossa, di quella mela dall’albero…
Per assaggiare una cosa devi prenderla in mano, per prenderla in mano devi tirare fuori il braccio, quindi le spalle… porca vacca, avevo il busto fuori. Non ripassavo più dal buco. Non si poteva più indietro.
Sono rimasta un’eternità incastrata a metà, tra il Guscio e il resto.
Poi l’ho rotto. Ma non volevo.
L’ho rotto.
Ho rotto il mio Guscio.
C’erano solo cocci intorno. Niente che si potesse in alcun modo ricomporre.
Ancora oggi cerco, talora, disperatamente, di riattaccare qualche pezzo. Piccolo, qualcuno… per sentirmi meno sola, per sentirmi più sicura, perché mi guardano tutti, da lì dentro, io, la pecora nera.
Quella strana. Quella diversa.
Fuori dal Guscio è buio e fa un freddo cane.
Fuori dal Guscio non sai di chi ti puoi fidare e di chi no.
Fuori dal Guscio ci sono tante strade, troppe strade, ma sono tutte lontane.
Nel Guscio non ho imparato ad ascoltare il mio cuore, non ho imparato a respirare, non imparato ad aspettare.
Fuori dal Guscio posso fare tutto quello che voglio, solo che non riesco a fare niente.
Fuori dal Guscio c’è il sole, non la luce di Trantor. Brucia, consuma, richiede amore.
Ogni tanto, cerco di rimettere la testa dentro. Non ci passo più.
Ogni tanto, mi arriva l’eco di qualche latrato. Doloroso per le orecchie e lancinante per l’anima.
Ogni tanto, una voluta del faro nella notte, un brillare di stella, un raggio di sole, un soffio di vento.
Un campo di ulivi.
Soprattutto, uno sterminato impietoso silenzio e tutto questo spazio pieno di niente, tutto da colorare con le mani impiastricciate di colori a dita…
… che mi perseguita.