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de l’inquietudine

*** tonight, Ground Zero ***

Vivo da sola in una casa troppo grande per me sola, ma mai abbastanza per tutto quello che mi porto dentro.

Ground Zero è troppo grande per me, in effetti, ma nemmeno lei basta per tenere tutte le note che mi servono per vivere. E comunque qui, fino a prova contraria, ci vivono anche Chopin, che è un gatto musicista, Rocco, che è un tronco della felicità con due nomi, e un sacco di spiriti affini che suonano al citofono sbagliato alla ricerca di ristoro, accoglienza e buona musica.

Stasera torno a casa e sfonderei la porta blindata di pugni, solo che non è mia, e sfondarla non è intelligente. Prenderei a testate lo spigolo della porta del bagno, e darei un sacco di calci al divano. Ma non farò, nè ho fatto, alcuna di queste cose.

Fanculo la dieta, fanculo le intolleranze alimentari, fanculo l’equilibrio interiore: ho una bottiglia di Sergio, una pagnotta di grano duro e il formaggio di capra. Ho Liga sparato a tutto volume che lo sentono in tutta Melrose Place, ho un paio di jeans che mi stanno larghi e mi fanno sentire magrissima e due quadricipiti di cui vado immensamente fiera.

Sono la stessa di sabato notte?

Sì, cazzo. Questo è il problema: sono la stessa donna.

Vivo nell’inquietudine e so che non è una brutta malattia, ma indubbiamente una caratteristica saliente. Buona o cattiva, spiegatemi se è  una differenza importante. Perchè secondo me non lo è: tanto io sono inquieta lo stesso, anche se mi dite che è una cosa sbagliata.

E mentre sabato, nel pieno della notte, sono finita in preda ad un attacco di ansia, stasera annego nella furia dell’ira e non ne posso uscire.

Non c’è alcuna forma di requie, alcuna specie di pace, con una fusis così.

Sbatto la testa con furia contro l’angoscia, contro l’ebbrezza, contro la collera, e non conosco la tranquillità. Vivo sbatacchiata a destra e sinistra dal vento del Nord, annaspo nelle sabbie mobili che la mia stessa interiorità produce e non vengo a capo di niente.

Basta cambiare canzone, e cambia tutto il tono della serata.

Sono tornata a casa e, per mantenere la promessa che ho fatto a me stessa, ho acceso “Libera uscita”. Perchè non mi prendono i quarant’anni e non mi prenderà Bill Gates e non mi prendono con i sondaggi che non ci prendono con me. Ho sparato la canzone a tutto volume e mi sono messa a ballare, come Liv Tyler, da sola sul mio tappeto arancio. E viene fuori tutto, in un momento così. Le botte che darei al muro e quelle che darei ad alcuni che lavorano con me, l’impotenza, la collera, la frustrazione, la paura, ma soprattutto, l’enorme quantità di energia che trattengo dentro e che, davvero, non so dove diavolo mettere.

Ho sfondato la mezza bottiglia di prosecco che è rimasta in frigo, spalmato il formaggio sul pane mentre cantavo, ballato finchè mi hanno retto le gambe. Poi mi sono seduta qui, con una gamba sulla sedia e una sul divano, scomposta, spettinata, disordinata e propensa a stappare il Ripasso. E invece mi sono versata un saggio dito di Braulio, rigorosamente senza ghiaccio, e mi godo il temporale che scroscia fuori. Sono nervosa, arrabbiata col cielo, sola come un gambo di sedano, come direbbe la Littizzetto.

E tutto sembro tranne che il pulcino bagnato che ero sabato notte, mentre tremavo in preda al panico più nero per tre pensieri bastardi infiocinati di fila. Tremavo come una foglia e non respiravo e potevo solo stare da sola e tenermi abbracciata e aspettare che il panico passasse. Ho pianto, urlato, sentito l’anima tremare fino a che non è finita l’energia, tanto che ormai erano le nove di mattina ed io ero sveglia da ventiquattro ore. Senza nessun buon motivo apparente, finita nelle mani ossute e rugose dell’angoscia blu notte, soffocata dalla convinzione inestirpabile che non merito alcuna forma di onesto amore, consapevole che distruggo tutto quello che tocco.

Già, io. La creatura inquieta.

La bambola intelligente con l’aria del giocattolo per adulti infelici, che di colpo annega soffocata dal fango che lei stessa genera e nessuno se ne accorge. E se se ne accorge, in generale meglio far finta di niente.

Io, quella sempre sola. Quella sempre in piedi. Quella che tanto ‘tu sei un guerriero’. Ma vaffanculo.

Io, che devo guardare in faccia questa vita e imparare che sono fatta così e che anche se non sono amabile vado bene. Così.

E sabato la bambola intelligente compie trentacinque anni, anche se ne dimostra ben di meno, e glielo facciamo vedere noi, a quella pletora di stronzi, come si fa a far tremare un pavimento, con tutta questa vita, tutta questa inquietudine, tutta questa energia.

Perchè, siccome stasera si ascolta solo Liga, dovunque siamo, l’otto settembre la bambola intelligente ed io balliamo sul mondo.

E ci salviamo la pelle, che abbiamo solo questa, ed è sempre bellissima.

 

 

1 commento su “de l’inquietudine”

  1. Tagliati i fili che lo sorreggevano, il burattino si stupì: “Cammino da solo!”. Si aggiustò i pantaloni e s’incamminò, deciso, per la sua strada.

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