Su questa musica, oggi, scorre il tempo.
Il tempo.
Quello che passa, quello che viene. Quello che non passa mai.
Il tempo, le scelte, le pieghe, la vita.
E quel momento eterno e indefinibile, che è quello delle decisioni.
La scena ricorda sliding doors, e tutto il coraggio mancato, o forse la consapevolezza vissuta.
C’è un tavolo di legno solido e rugoso, scollegato dallo spazio e dalla fisicità, dove far appoggiare e riposare i pensieri indecisi e i bivi esistenziali, dove riflettere, ricordare, elaborare e poi superare per evolvere. Cambiare, trasformare, mutare il vento del Nord in senso.
Le rughe del tavolo sono come quelle del viso, riportano le tracce delle biforcazioni del tempo, le cicatrici della vita, i solchi immensi ed insondabili della ricerca della felicità.
C’è una scritta a caratteri cubitali, quattro lettere incise nella realtà, inchiodate alla superficie morbida eppure solida, che evocano il senso del presente, dell’hic et nunc, e che riecheggiano della nostra lingua in un paese che non la conosce. Wittgensteinianamente, è il linguaggio che dà il senso alle cose.
Ed OGGI vuol dire adesso, anche se ieri avresti voluto fare un’altra cosa.
OGGI sono quattro lettere, per loro, e il senso profondo del vivere, per noi.
OGGI è stare davanti al cancello di Harvard, sognando il campus in cui non sei andato e il futuro che non hai scelto, per volerne uno diverso. Che non è migliore o peggiore. Solo un altro.
Ci sono i chiodi, che ci incatenano alle scelte, ma che anche si possono divellere, perché le rughe della pelle consentono, ed anzi forse incitano, le curve a gomito dell’esistenza.
Ci sono i fogli bianchi, che forse sono girati o forse sono tutti da scrivere.
Oppure, più facilmente, siamo noi che li abbiamo girati per poterli riscrivere, non daccapo, ma ricominciando da qui, da OGGI.
****
L’immagine, nella sua immensa ed inspiegabile magia è qui. Ma voi cliccateci sopra.