C’è una strana luce calda fuori della finestra a quadri, anche se è mezzo inverno.
Alice si alza, assonnata e vagamente stordita, appoggia i piedi nudi sul pavimento e si accorge, con sorpresa, che le fanno ancora male.
*Quelle maledette bellissime scarpe nuove* pensa, guardando la suola del sandalo argentato che ha sfilato poche ore prima. A dir la verità, non sono proprio nuove, le scarpe. Sono quelle dello Show Case d’estate, giugno duemilanove, messe una volta sola, per ballare quel valzer inglese in abito rosa, e poi mai più.
*Sono vecchie o sono nuove?*
Sono come lei, in fondo: tempo ne hanno, ma l’hanno usato poco.
A piedi nudi e pantaloni da yoga cammina sul pavimento, fa scaldare il caffè americano, accende la musica, chiude gli occhi e ricorda. Nella confusione delle ultime settimane, nell’orgia asmatica di eventi e serate e persone e bottiglie, due cose sono rimaste nitidamente impresse nella sua testa: le parole e la danza.
*Voglio dare un posto alle cose per cui dentro di me c’è sempre stato spazio. Ecco.*
Caffè, sigaretta, canottiera attillata in un raggio di sole caldissimo, capelli spettinati e un po’ arricciati dal sudore di una notte latina: la stregatta balla da sola su Lamento Boliviano, ondeggia e vaga.
Tutto un fatto di passione e tecnica, in fondo. Alle spalle i sogni bruciati, l’ebbrezza che non lascia tracce, il dolore che consuma energia: davanti un altro libro di pagine bianche tutte da scrivere.
Dentro Alice c’è sempre stato spazio, per scrivere e danzare. Ma non c’è mai stato posto: ha cominciato, abbozzato, interrotto. Per timidezza, per insicurezza, per timore dell’inadeguatezza.
*Posso. Devo. Si tratta solo di trasformare il talento in pratica.*
Di spaccarsi le punte dei piedi per imparare a girare, di lasciar andare le braccia a quelle dell’altro, di fidarsi di quei perigliossissimi caschè. Di imparare a inventare, di lasciar scorrere la narrazione, di ragionare sugli aggettivi e gli avverbi e non lasciarli profusi a caso.
*Scrivere di getto e sentire il ritmo nel sangue, sì.*
Ma anche ascoltare cosa va approfondito e cosa va tagliato, imparare a muoversi con abilità. Che è più difficile, perchè è rischioso. Finchè danza o scrive solo secondo istinto, può sempre dire di non avere “gli strumenti”. Se invece lavora sulla tecnica, il risultato può essere meno che perfetto.
*Io odio essere imperfetta e inadatta.*
Ecco: dare un posto alle cose che hanno spazio. Rischiare di essere meno che perfetta e per questo, veramente viva, veramente Alice. Non cercare un ballerino a caso o un destinatario occasionale.
Scrivere a chi vuole leggere e a chi sa rispondere. Abbandonarsi alle braccia sicure di chi la sa portare.
“Soy una moneda en la fuente,
tú mi deseo pendiente,
mis ganas de revivir.
Tengo una mañana constante
y una acuarela esperando
verte pintado de azul.
Tengo tu amor y tu suerte,
y un caminito empinado.
Tengo el mar del otro lado,
tú eres mi norte y mi sur. “
Tengo el mar del otro lado, tú eres mi norte y mi sur.
anche io odiavo essere imperfetta: poi per fortuna ho imparato a volermi bene.
ancora buon anno, Chi.
Brava, tu che danzi con le parole.
E parli con la danza.