Lasciata alla solita officina di Sesto, col capofficina gentile ed educato che si chiama Claudio, ieri mattina alle undici e mezza. Lasciata lì, col suo adesivo di Arthur Murray attaccato al sedere piatto, la modalità eco che funziona male e un fanale spento (di nuovo).
Dire ciao alla mia piccola scatola grigia dei sogni non è stato difficile, ma adesso se ci penso mi viene nostalgia.
Nostalgia perchè, soprattutto, allora è davvero la fine di un’epoca.
Non c’è Matteo, non c’è Michele. Non c’è una casa da dividere con qualcuno e neanche una arredatada qualcun altro. Non c’è il divano grigio e non c’è il divano blu. Non c’è più bisogno di tovare rifugio nella mia accogliente scatoletta grigia che quando corre sembra un criceto furioso.
Con la mia fedele smartina ho fatto tre traslochi e spostato mille volte le mie cose da una casa all’altra; ho imparato a memoria la Valassina; sono andata fino al mare un sabato mattina.
Nella mia smartina ho pianto ore ed ore da sola, a volte a squarciagola, ma ho anche cantato Aretha Franklin con Fabri che rideva come un matto e volava sul soffitto; ho guardato il cielo stellato dal tettuccio nel pieno della notte, ho fumato, mangiato e fatto l’amore (ebbene sì, in una Smart).
Con la mia smartina ho attraversato questi tre dolorosi anni pieni di fatica, speranze e delusioni cocenti; di scoperte, rivoluzioni di paradigma e scossoni.
Adesso, forse, sono pronta per una vita nuova.
Una casa vera, la mia. Una macchina vera, tre porte e cinque posti. Un lavoro “nuovo”, che mi merito, o forse quello di sempre che però stavolta ho voglia di fare.
E mille e ancora mille parole da scrivere.
L’ho avuta anche io la Smart, e ci ho fatto anche io l’amore dentro.Ma l’ho abbandonata molto volentieri, però la Smart è come una metafora del dell’amore di coppia e del cuore: ci si può ospitare solo una persona per volta.
Una sola, gli altri fuori.
Peer Gynt.