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C’mon Raw, you don’t need the fucking subject

From: Alyce <ad@gmail.com>

To: “Raw”

subject: C’mon Raw, you don’t need the fucking subject


Cazzo, Raw.

Ti spaccherei la testa. Cazzo.

Ma possibile che una, dico una volta nella vita che ho bisogno di te, tu non risponda a quel maledetto iPhone che funziona solo quando vuole lui? Sono le nove e dieci e tu non rispondi al telefono. E io a quel cazzo di aperitivo non ci voglio andare. Cosa stai facendo?

Sì, lo so… il concerto, le foto, le modelle. Il mood da bastardo maledetto. Sei tu. Va bene.

Ma io ho bisogno di te, adesso. A-d-e-s-s-o, hai presente?

Ho il preciso fottutissimo bisogno di parlare con te. E ovviamente tu non mi rispondi. Cosa cazzo stai facendo che non vedi che ti ho chiamato?

No, non hai capito. Non è che sono gelosa della biondina inutile della serata. Anzi, un po’ son contenta per i cinque minuti di gloria vanesia della biondina inutile: si sentirà una donna vera per dieci secondi e non l’impassibile ameba che è. Un po’ son contenta per te, che alla fine della festa avrai bevuto un bicchiere di meno e sibilato un sorriso in più.

Il punto è che non me ne frega un cazzo di quello che stai facendo: devi rispondermi al telefono. E tirarmi fuori da questo guaio, in cui TU mi hai messa.

Sì, tu, mio adorabile bastardissimo amico.

C’hai presente quel giorno che son venuta a fare le foto? Quel giorno che Clara ti avrà mandato un milione e mezzo di messaggini in tre ore? Che cercavamo invano di ascoltare un pezzo intero e non è stato possibile perché il tuo telefono suonava ogni due minuti e non era mai Madeleine? Beh, fanculo tu e le foto e quel tuo conoscente a cui hai detto a pranzo qualcosa di stupido come: *Chiamala, lei è la migliore*.

Detta così sembra che sia una puttana. Mi sa che il tuo amico l’ha intesa così, la faccenda. Non che sono un genio dell’organizzazione aziendale dello stocazzo cosmico.

Dovevi vendicarti perché me ne sono andata così? Senza commentare? E cosa dovevo commentare? Kundera ci ha già scritto un libro, Kubrick ci ha già fatto un film. Noi due siamo solo un clichè. Tu sei maledetto egoista e solo, anche se hai più donne che capelli; io sono ondivaga, narcisista e sola, anche se potrei avere un uomo per ogni giorno della settimana. Quindi, su di noi potrebbero scrivere un libro, ma io non spenderò inutili parole.

Il problema è che mi hai messa in un guaio e adesso mi tiri fuori.

Ti ricordi quell’uomo infimo che mi hai presentato al bar, dopo le foto? E dico infimo perché oltre ad essere alto un metro un cazzo e uno sputo, ha anche lo spessore di un trilobita del paleozoico. No, dico, ma dove l’hai recuperato questo pezzo di archeologia delle bassezze umane?

Tempo due ore da quando ci hai presentati, mi ha chiesto l’amicizia su facebook. Con una foto da sfigato fighetto noioso. Palesemente, l’ho sfanculato. Io mica ci parlo con gli sfigati. Sei tu che dovresti spiegarmi perché ci parli.

Beh, dieci giorni dopo, meeting alla direzione generale del US Postal Service, siamo lì a discutere di come ristrutturare i massimi sistemi del mondo in modo che tutto rimanga com’è senza che nessuno se ne accorga e… compare il nano portoricano. Ribadisco, dove l’hai trovato? E si scopre che è un pezzo grosso della società di IT che sta progettando il software per la ristrutturazione e che dovrò lavorarci assieme. Wow. Mi mancava un nano smargiasso nella immaculate collection della gente con cui ho lavorato.

Facciamo tre, quattro riunioni. E questo parla, parla, parla… Una noia. Tu non immagini che noia, certe volte, il mio lavoro. Con tutti questi idioti che blaterano per ore di cose che non conoscono e fanno misteri delle fede dei segreti di pulcinella. Comunque, il tuo stupido amico si presenta ad una pausa caffè, sai com’è: lui è uno che conta. E quindi può irrompere nella conversazione e presentare il conto della sua presenza agli astanti. Fa il figo, è alto come quel pagliaccio della politica italiana che non mi ricordo come si chiama e fa il figo. Beh, ovviamente arriva anche da me. E questa gente parla di età e di compleanni e di pensione e… come si chiama lui? Edward whatever? Beh, mi fa notare brillantemente che ha 51 anni. E io: “Beh, li porti bene”. (Mi pareva una frase qualunque, di circostanza, pur vera). E lui: “Tu porti bene tutto”. E cazzo, come mi ha guardata. Una rettoscopia sarebbe stata più gradevole.

Eh? Cosa? Gli assesto un gancio? Ma come si permette?

Alla fine, siccome sono una donna, dentro di me, da qualche parte, abbasso gli occhi e arrossisco.

La mattina dopo, il mio iPhone blinka alle sette e cinquanta. Ti rendi conto? Io sono nel mondo dei sogni a quell’ora. E cosa è successo di così importante da svegliarmi al posto del gatto? Il tuo amico whatever mi ha mandato una mail. Ma non una mail. Un sogno erotico trasmesso telematicamente. E chi gli ha dato il mio indirizzo? A parte sta cazzata, che l’avrà recuperato in qualche maledetto angolo della rete, il punto è il contenuto della mail.

E la riunione di oggi.

E questo sguardo insistente. E l’aperitivo a cui sono socialmente costretta ad andare.

E io che sono asserragliata in ufficio, e non posso uscire e pestarlo a sangue, perché lui è uno degli stronzi della delivery dell’IT con cui devo lavorare. Per forza.

Allora adesso tu vieni qui. Mi vieni a prendere. Col tuo sorriso da stronzo. Li guardi tutti dritti in faccia, come se fossi una delle tue donnette. Li rimetti al loro posto. Fai il maschio alfa. Mi tiri fuori da questo casino.

In cambio, a casa ho una bottiglia nuova nuova di Solera 23. Sì, il Ron Zacapa di 23 anni. Quello che ti piace tanto.

Se tu adesso alzi il culo da lì, qualunque sia la bionda che ti si sta strusciando e vieni a tirarmi fuori da questo guaio e a salvarmi la serata, ti prometto il miglior rhum guatemalteco che si sia mai assaggiato, solo Chet Baker che suona, e che starò zitta ad ascoltare il tuo respiro in silenzio mentre fumi.

A che ora arrivi? Io ne ho per una mezz’ora al massimo.

Alyce

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