Mercoledì sera il cielo sulla tangenziale est era blu con sfumature rosa pompelmo e nuvole bianche. Se dentro di me c’era un’ansia martellante che mi opprimeva il diaframma, fuori lo spettacolo era davvero mozzafiato.
Aggrappandomi al braccio teso dalla mia socia Annie: “vieni con noi a vedere una partita, esci da lì”, mi sono avventurata in macchina verso il palazzetto dello sport di Segrate e sono rimasta stupefatta a guardare il cielo, offuscato dalle lacrime che scorrevano copiose.
E così mi sono trovata inaspettatamente a vedere una semifinale (o qualcosa di simile) di pallavolo maschile tra il Segrate e il Correggio. Non riconoscere il palazzetto sarebbe stato impossibile, da 100 metri di distanza si sentivano le urla ed i tamburi delle due sfegatate tifoserie.
E così, mentre il sole andava piano piano giù, l’ansia galoppava nelle steppe della mia interiorità e stranamore aveva altro da fare che dar retta alle mie paranoie, ho scoperto per la terza volta in un anno che una partita di volley vista con la mia socia mi può tirare fuori dai guai.
Già, Annie, ti ricordi quel sabato al parco Sempione, la scorsa estate? E poi il torneo di metà novembre? E poi l’altro ieri?
Ci si salva sempre con quattro bestioni che giocano e una palla che vola e fa i buchi!
Beh, la partita è stata divertentissima. L’adrenalina si è presa tutto lo spazio dell’ansia e dopo dieci minuti urlavo anche io come un’ossessa, tifando per la squadra azzurra e blu locale, alzando le braccia al cielo come Florence Griffith ogni volta che facevamo punto e cantanto “Tutta la curva!”.
Vicino a me, a guardare questi ragazzi enormi, con delle schiene larghe e solide, gambe lunghissime e visi concentrati, che si sollevano da terra come libellule al solo scopo di sparare fucilate al suolo sul campo avversario, c’era una tifosa d’occasione che mi ha veramente risolto la serata.
Come la più celebre dell’Eneide, la Camilla del Guscio è un’amazzone urbana, con i capelli corvini e lo sguardo da guerriera, fisico compatto, occhio determinato, voce da combattente. Nike, calzoncini di jeans cuciti addosso, maglietta rossa, temperamento da “più forza nelle gambe!”.
E se qualcuno di voi pensa che le donne siano creature delicate e composte, che applaudono moderatamente di fronte alle azioni più spettacolari, non ha sentito la mia vicina che, con urlo da Joe Cocker in “Don’t you love me anymore”, sbraitava contro l’alzatore che evidentemente non riusciva a capire cosa volesse dire servire una palla come si deve.
La mia serata angosciosa si è spenta in pochi minuti, con gli occhi spalancati a guardare i marcantoni del Segrate che cercavano di riparare ai danni di un alzatore modesto e discreto, le urla scatenate dell’amazzone nordica che esortava il buon Domenghini a perforare il muro avversario, la mia socia bionda che mi faceva le telecronaca tecnica della partita e un piccolo leone che vegliava su di noi da due gradinate sopra, tifando anche lui con passione, ma più silenzioso.
A buon rendere, socia.
nel racconto si percepisce esattamente il moento di passaggio dal grigio sbiadito ai colori sgargianti della pura adrenalina! sei fantastica!