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Di lago in lago, una merenda in terrazza

La prima volta che sali su una moto pensi che se non ti tieni potresti volare via.

La seconda, beh…

… capisci che è vero.

Si vola, lago da lago, ben saldi sulla Z-1000 nera, col casco stretto che fa sentire quanto “pesi” la testa.

Francesco dice che Alice è un po’ rigida. Be, vorrei anche vedere! Alice è una fifona incredibile, soffre di vertigini e ha paura della velocità, e lui la porta senza preavviso su un destriero nero tipo “falco della notte”, senza appigli né prese, sperando (invano?!) che gli addominali ed i bicipiti di lei ne sostengano con grazia il peso.

C’è sole, strada sinuosa, lago a sinistra, auto a destra, profumo di erba appena tagliata che entra dal casco e pervade i sensi. C’è la campagna rigogliosa della Brianza, ricca di essenze fresche e delicate, tanto diverse dai profumi secchi e intensi del fieno e dei girasoli del Centro Italia.

Como. Lipomo. Montano Lucino. Villa Guardia. Appiano Gentile.

Curve, prati, fiori, ville. Molte ville.

Ogni tanto un tratto di statale o un raccordo autostradale interrompe bruscamente l’escursione campestre, qualche cartello un po’ vago dirotta l’itinerario un paio di volte.

Ma ViaMichelin aveva ragione, la strada è davvero panoramica.

Ad Appiano Gentile, per chi non lo sapesse, c’è una pineta verdissima, un parco naturale, attraversato da una lunga strada silenziosa, dove si vede solo verde intenso, sottobosco e sentieri; c’è molta ombra, profumo di bosco e pini, e nicchie poco poetiche in cui improbabili prostitute nere trascorrono in attesa la domenica mattina.

Nella pineta di Appiano Gentile, verso l’osservatorio astronomico, seguendo i cartelli per Tradate, sfrecciano verso il Sempione puntando verso un nuovo lago.

E questo tratto di gita mi ricorda quell’improbabile viaggio in moto che avevo dimenticato, con Lorenzo il ballerino di tango, verso Sesto Calende, dopo una partita dell’Italia ai mondiali del ’98 vista al Palacucco (per chi se ne rammenta) con la brillante cronaca della Gialappa’s Band.

Appiano, Tradate, Gallarate, ed ecco la SS33, il Sempione. La statale sale, discreta, modesta, monotona. Sale tra incroci, semafori, collegamenti con la Milano-Laghi e centri commerciali. Si fermano da Mac per una sosta toilette e poi, dissidente, Francesco cerca nella memoria l’itinerario segnalato da ViaMichelin e devia in direzione di Varallo Pombia.

La vegetazione è di nuovo lussureggiante, il sole scotta sulle schiene e sulla carena della moto. La strada poco battuta si dipana in curve fitte e ondeggianti e poco più avanti ecco un ponte sul Ticino, una cascata e la vista spettacolare della centrale elettrica di Varallo, stesa sul fiume con la sua pietra grigia, rilucente della schiuma bianca dell’acqua e delle risate dei bambini che fanno il bagno mentre qualcuno prepara una grigliata e il casco si riempie di odore pungente di salamella e brace.

Da Varallo in poi Francesco guida e Alice naviga, un po’ a istinto e un po’ seguendo i cartelli, lungo una viuzza avvincente e scoscesa che si inabissa nelle colline tra il varesotto e il novarese, campi, vigne, casette e chiese, discese ardite e risalite. Divignano, Agrate Conturbia, Bogogno, Cressa e finalmente Fontaneto e l’Hostaria de la Macina.

Ci sono Mara e Andrea che li aspettano sorridenti, un caffè ristoratore e un collirio per l’allergia a queste maledette graminacee, quattro battute sulle due moto e sul senso di Alice per le curve (che evidentemente non è come quello di Smilla per la neve). E poi si riparte di nuovo, veloci in direzione Arona, ancora campi, spazi aperti, rotaie, sole rovente sui giubbotti neri, casco che scotta e che spettacolo, all’improvviso, il lago Maggiore alla destra della via.

Mara ed Andrea filano davanti, un cartello marrone indica Meina e la zona turistica dei Tre Laghi, una stradina ripida sulla sinistra si inerpica sul versante di una collina e sale, tra tornanti ripidi, ombra fresca, un maneggio di cavalli e un forte odore di letame e sudore. In cima, ecco San Salvatore, “luogo di culto” dice il cartello.

Culto enogastronomico, pensa Alice, notando la scarsa attenzione degli ospiti per la piccola chiesa sul cocuzzolo e la ressa per entrare nella terrazza naturale su cui faranno merenda.

C’è poco di sacro e molto di conviviale, tra caschi appoggiati sui tavoli e bambini che ridono, motociclisti addormentati come gatti al sole e famiglie che terminano il pranzo domenicale.

I quattro si aggiudicano un tavolo proprio sulla terrazza, ad un metro dal parapetto, con lo sguardo che si perde a non finire sulla pianura annegata nei tre laghi cerulei. La vista è assordante, non solo mozzafiato. C’è un po’ di foschia, ma il cielo è azzurro e l’acqua striata dal solco bianco di mille barche a vela. Siedono all’ombra, su un tavolo di pietra, in un’altana naturale con vista sull’infinito leopardiano. Il sole siede poco più in là.

La “merenda” è con salame, prosciutto, toma e caprino fresco, pane e una bottiglia di Barbera del Monferrato. Acqua frizzante, tiramisù, fotografie, chiacchiere serie e discorsi faceti. Una stagista nuova, il matrimonio della Ste, le peripezie sentimentali dell’amico talpa e un piano vagamente abbozzato di vacanze settembrine alle Maldive.

Francesco dormicchia, Mara racconta progressi professionali, Andrea cerca di spiegare che vorrebbe andare a vedere l’ultimo film con Elio Germano, accennando vagamente a “Come Dio comanda” riferendosi ad un padre con l’amico matto che ammazza la ragazza del film.

Il ritorno è lungo e su un’altra strada, più veloce e trafficata. Lo sfottò è tutto per Alice che non sa fare le curve. Perché, Francesco, scusa, tu quanto ci hai messo ad imparare a fare i turni?

Ombra, discesa, lago laggiù. Lui va forte e va piano, accellera e rallenta. Sarà la discesa o lo fa perché è la prima volta di Alice?

Traffico intenso. La moto svicola a destra e sinistra e non si ferma. Sole che cala sul casco grigio, dossi, semafori. Alice si solleva, ricade. Adesso ha capito come si fa. Strada che va, deficienti che impennano in motorino. Niente prostitute (dopo la messa) sulla strada del ritorno. Ponte sul Ticino che segna il passaggio dal Piemonte alla Lombardia, macchine ancora ferme sulla sponda del fiume, famiglie che rientrano dopo la grande grigliata. Arona, Varese, Como. Erba. Il Resegone, su sfondo rosa, lassù. Alla sinistra ancora qualche cima innevata, già allo scuro crepuscolare di questa domenica di fine maggio.

Ecco la superstrada. Francesco, di colpo, accellera e schizza via. Alice si attacca forte al serbatoio e non cade. Non ha paura. Il vento fischia forte, la strada corre più veloce di loro, la galleria del monte Barro è infinita e lei non ha paura. Col sole fuori e la stella polare (quella vera) dentro.

Scendendo, Alice ha le gambe spezzate dalla fatica. Tutto duole di stanchezza e tensione: le ginocchia, l’addome, il deltoide, le dita. Duole anche scrivere sulla moleskine, dopo la doccia e la crema idratante. Duole anche tenere in mano quella penna a sfera leggera, tra le lenzuola pulite sul suo quaderno nero.

Scendendo, Alice ha addosso un vago senso di libertà, oltre alla stanchezza. Di quella che cercava.

Un vago senso dell’orientamento, sulla mappa delle strade per la felicità.

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