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StranaPasqua

Che strano essere qui, in questa domenica di Pasqua. Che strana la città infreddolita dalla pioggia che cade a dirotto, il cielo grigio, la gente che cammina veloce e cerca invano di passare tra le gocce. Che strani i vu cumprà per le vie del centro che vendono ombrelli colorati e mantelline di plastica che sembrano sacchetti per la raccolta differenziata.

Che strana questa Pasqua “fuori casa”, una nuova festa comandata da Disadattata, impegnatissima a cercare il senso vero della parola “famiglia”.

Strano cenare stasera a Trastevere, con amici che non conosco, in un ristorante Toscano con una cameriera calabrese cinquant’enne che ha l’evidente intenzione e la vana speranza di sedurre gli uomini al nostro tavolo. Accanto alla porta del ristorante, fuori dalla quale aspettiamo un quarto d’ora sotto una fastidiosa pioggerellina, c’è un negozio di scarpe artigianali con dei tacchi pazzeschi, che esibisce in primo piano la versione originale della scarpa rossa con tacco a tridente de “Il Diavolo veste Prada”. Dentro il ristorante, invece, c’è un bel calduccio, un invitante e goliardico fiasco di vino rosso, dei pezzi di fiorentina grandi così, puntarelle alla romana e una serata davvero piacevole.

Domani è Pasquetta, che fate? I nostri amici tornano a casa, noi invece rimaniamo tutto il giorno per evitare il traffico e ripartiamo martedì mattina. E le previsioni dicono che ci sarà il sole.

Dormiamo, ma non tanto, che una “dura giornata” ci aspetta. Scarpe comode, vestiti a strati, non si sa davvero cosa combina il tempo oggi, usciamo in macchina e parcheggiamo a Villa Borghese.

Il parco è pieno di persone, sono tutti lì ad aspettare che esca il sole: ci sono ragazzini che giocano a palla, coppiette che si baciano sulle panchine umide, famiglie in giro con bambini e cani, nuvole nere nel cielo grigio. Camminiamo e vediamo ogni sorta di ciclo a due e quattro ruote che scorrazza per i sentieri asfaltati; un gruppo di amici che fa dimostrazione di agilità sui rollerblade, con discomusic di sottofondo e cagnolino che abbaia felice; lontano, l’obelisco di Piazza del Popolo che si staglia orgoglioso su Via del Corso, cercando di contrastare il grigiore del cielo. Scendiamo a piedi verso la piazza, e rimaniamo sommersi dal verde scuro del parco, sembra quasi buio e fa anche abbastanza freddo.

Passo dopo passo, diretti alla nostra meta turistica (unica aperta in un giorno di festa religiosa nella capitale della Cristianità), eccoci in riva al Tevere. E chissà come mai, mentre ci fermiamo in mezzo al ponte a toglierci le giacche, ecco il sole. Ha squarciato il cielo, spazzato il grigio in azzurro, trasformato i nuvoloni in gran disegni di zucchero filato, illuminato a giorno il marmo bianco dei palazzi della città. A sinistra la cupola di San Pietro, di fronte l’imponente Corte Costituzionale, intorno le curve di un Tevere verde militare e pini marittimi a perdita d’occhio.

Castel Sant’Angelo è più vicino di quanto sembri, enorme nella sua maestosa solidità. C’è tanta gente in coda, forse perché è uno dei pochi posti aperti oggi. Saliamo nel buio del percorso mortuario dell’ex mausoleo di Adriano, e tutto quello che c’è intorno mi ricorda inesorabilmente Angeli e Demoni, ma il celebre Passetto, mannaggia, oggi è chiuso. Nel fare il giro intero della fortezza vediamo tutto il cielo e tutti i tetti di Roma, che se quest’estate li ho visti dal basso, ora li guardo stupefatta dall’alto.

La città è di rosa e rosso e bianco, palazzi e cupole ovunque, pini marittimi sparsi ad arredare questo salotto per gli occhi, e in alto il cielo azzurro e le nuvole bianche, che si spostano arabescando fantasie e sogni.

Il vento soffia, il freddo torna, c’è fame e sonno (e un po’ di mal di denti). Una pizza al trancio dietro il Pantheon, una granita al caffè con panna e in men che non si dica diluvia di nuovo. Nessuna possibilità che spiova, cerchiamo un posto dove ripararci e, per uno strano caso del destino, finiamo proprio sotto un palazzo anonimo, che nessuno tranne me riconoscerebbe mai, il palazzo dell’Autorità Garante per la protezione dei dati personali, che evidentemente mi perseguita anche personalmente, oltre che professionalmente! Non ci sono ripari che funzionino, piove in tutte le direzioni e fa anche abbastanza freddo. Non ci resta che andare alla macchina, percorrendo a gran velocità le vie del centro sotto un’acqua torrenziale, fino al metrò di Piazza di Spagna, che ci accoglie insieme ad altre diecimila persone fradice. Nella folla, avanziamo a fatica, i tapis roulant sono tutti fermi, la gente è agitata e scalpita per arrivare a destinazione. Fa freddo, siamo bagnati, ecco la macchina, però, la resa ci secca. Non ci va di tornare a casa con le pive nel sacco solo perché abbiamo preso un po’ d’acqua!

E a questo punto il dottor stranamore ha una grande idea: andiamo al mare. E l’Audi ricomincia a correre sulla Ostiense, in mezzo alla rigogliosa pineta di Castel Fusano, e il cielo si tinge di nuovo di un celeste limpido illuminato dal sole.

Pensavo che a Fiumicino ci fosse solo l’aeroporto, e invece no: c’è il porto e c’è il mare. E c’è profumo di alghe secche e salsedine, e una strada di roccia che porta fino al faro rosso laggiù. Ci sono barche da pesca ormeggiate, reti riarse dal sole e dal freddo, onde che si infrangono contro le pareti di pietra, ragazzi in gruppi che camminano verso il mare.

Dal faro si vede tutta la costa, il porto, e in fondo, sul mare grigio e agitato, cinque navi ferme che sembrano aspettare tempi migliori.

C’è vento, sole, e tutto promette che la primavera arriverà e porterà buone nuove. C’è un altro viaggio in macchina da fare, il mare alle spalle, le case basse di Fiumicino intorno, i pini della Ostiense, il centro della città, il Colosseo di colpo, e il tramonto che scende su di noi, regalandoci le ultime note di chiaro di questa Pasqua strana e diversa, ma non per questo meno bella.

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