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Sole, silenzio e schizofrenia

Una domenica bestiale, sì.

In una cittadina con un centro storico minuscolo e preziosissimo, pieno di angoli segreti, silenzi e personaggi assurdi.

Mi sveglio rincretinita dall’aria condizionata, con cui ho litigato tutta la notte, ed è troppo tardi per far colazione in locanda. Troverò un bar. Il navigatore mi porta al tourist information ai confini della città e del raccordo autostradale che la circonda, lì mi aggiudico una cartina e indicazioni su dove parcheggiare. Il giovanotto risponde a qualche domanda con ansia da prestazione, mi guarda curioso, mi chiede da dove vengo perché “fa il censimento dei turisti”.

Parcheggio. Cammino. Fa caldo, molto caldo, ma a me non importa un granchè. Mi accorgo che è domenica perché sono chiusi tutti i negozi e molti bar. Questa cartina fa sembrare Pistoia una città enorme: non c’è indicazione della scala sulla mappa, e quindi rimango sbalordita quando giro l’angolo e alla mia destra, nel suo immane e scioccante splendore di righe bianche e verdi, “Ecce! San Giovanni Fuorcivitas”. Sembra un palazzo nobiliare, ma leggendo la guida capisco che è una chiesa, e si chiama così perché originariamente si trovava fuori dalle cinta murarie. Mi siedo lì di fronte a bere un cappuccino, e mentre mi chiedo quale sia la folle temperatura percepita, scopro che Pistoia, fiorente centro del commercio toscano, era direttamente collegata al Cammino di Santiago e alla via Francigena perché nel 1145 d.C. qui sono arrivate le reliquie di San Jacopo. Ma che strada si fa da Pistoia per arrivare a Roncisvalle?

Da San Giovanni vado in esplorazione del resto del centro storico. La città vecchia è così piccola che te la giri tutta in due ore, interni delle chiese compresi, anche sotto questa canicola allucinante. Quel che è ancor più allucinante è che sono quasi da sola. Sì, è vero, è domenica 16 agosto ed è quasi l’ora di pranzo, chi è quel pazzo che va in giro a quest’ora?

Beh, un pazzo c’è. Veramente più d’uno. Primo fra tutti, un ragazzo pelle e ossa, con la testa rasata e un unico dreadlock che penzola dalla nuca, che gira nudo, coperto solo da un pareo arancione arrotolato come siamo abituati a vedere nascoste (per tradizione medioevale?) le pudenda del Crocifisso, gridando che non capisce perché non può girare nudo e basta, che lui è libero e pistoiese e vuole stare nudo. Libero, pistoiese e nudo. E fuori il primo matto. A due metri dal Duomo.

Piazza del Duomo è bella, ma non è la più bella. C’è il Duomo bianco e verde, che se non ho capito male è un po’ romanico e un po’ gotico pisano (mah…), c’è il Campanile, che visto in “contro cielo” ha dei colori emozionanti, c’è il Battistero, anche lui a righe bianche e verdi; poi la piazza di spalanca e si vede il potere spirituale separato da quello temporale: a destra gli edifici religiosi, a sinistra quelli civili, più seri, imponenti, rigorosi. La Piazza è molto ampia. Non un filo d’ombra. Qualche turista straniero un po’ stonato dal sole. Lontano, da qualche parte, risuona il campanello di una bici.

Mi infilo in una viuzza alla ricerca di Piazza della Sala, la vecchia piazza del Mercato, e quando ci capito per sbaglio la riconosco subito. Un po’ Praga, un po’ Venezia. Un campo quadrato col pozzo al centro, sopra il pozzo forse è un leone, forse è un gargoyle (la mia fantasia preferisce questa seconda ipotesi). Le case sono basse e al piano terra c’è sempre la porta di una bottega. Uno che vende carne equina, uno che vende parmigiano, un wine bar, e questo grande, enorme, spaventoso silenzio. Non c’è nessuno. Non un’anima. Eppure, se stai concentrata, ti sembra di sentire le voci dei mercanti. Uomini che urlano prezzi, donne che ridono sguaiatamente, zoccoli di cavallo sul pavimento… Alle mie spalle, Piazza dell’Ortaggio, con tre viandanti scolpiti in bronzo in mezzo alla piazza, come a popolare di una realtà immanente il mio sogno ad occhi aperti.

Continuo a camminare, e trovo la Chiesa Francescana, la Madonna dell’Umiltà in restauro, che non riesco a vedere, ma che mi lascia senza fiato quando girandomi in Piazza dello Spirito Santo vedo il suo cupolone dietro i palazzi gialli.

Fa caldo, ho fame, dove fermarsi a cercare un po’ di ristoro? Mentre mi aggiro curiosa per i viottoli, il secondo matto. Questo, però, è un matto buono. Sembra Salvatore, il dolciniano de “Il nome della rosa” in versione cinematografica, quello che muore sul rogo perché è un eretico (pure lui). Ha i capelli lunghi, è vestito di un assurdo verde, sorride senza denti, mi porge una cartina di Pistoia e mi chiede dove sto andando e se la sera voglio andare alla sagra di un paese di cui non ricordo il nome. “Ecco, signorina, ti ho risolto la giornata!” e se ne va ridendo contento a fermare il prossimo passante.

Trovo requie in una ristocaffetteria in Piazza dell’Ortaggio: pesce spada alla griglia, un bicchiere di Vernaccia di San Gimignano, un litro e mezzo di acqua fredda. Guardo i miei assurdi commensali e noto che piano piano anche il locale si popola. Una famiglia di francesi con una bambina di un anno e mezzo che mangia i bucatini al sugo con le mani, cospargendosi viso e dintorni di un imbarazzante color rosso mattone. Tre tedeschi, di cui una lei molto esigente che, neanche fosse Marlene Dietrich in visita, pretende di avere il tavolo all’aperto più fresco e ventilato che c’è. Una coppia di italiani cinquantenni appena uscita da un film di Pupi Avati, lui vuole la birra e la ordina (per tutti e due), lei piagnucola, perché vuole il gelato, ma il gelato non c’è. E lui (testuale): “Non me ne frega niente del tuo gelato, io voglio la mia birra” e le ordina le fragoline con la crema artigianale (il cui abbinamento con la birra è a dir poco aberrante). Lei mangia, beve e piagnucola.

Ma dov’erano tutti questi turisti poco fa, per strada?

Cantuccini e Vin Santo. Scrivo un altro osso di seppia, pensando a mio padre, e poi ricomincio a gironzolare.

Piazza della Sala, ieri bellissima nella mia fantasia, oggi teatro di una scena dell’assurdo. Sono le tre. Ho una fame che non ci vedo, vengo da Vinci dove ho camminato, troppo a lungo, sotto un’inclemente sole di mezzogiorno. La “Vecchia Praga”, sedicente birreria con cucina aperta tutto il giorno, mi accoglie e mi tradisce mentre sono al telefono. Mi portano la birra e mi avvisano solo dopo che la cucina è chiusa. Se ci ripenso, forse la signora aveva un po’ la faccia da strega. Di fronte a me un signore distinto ma un po’ sbronzo che si beve una birretta. Alla mia destra una famigliola tedesca. Io con la mia solita faccia da bimbetta curiosa, non si capisce proprio come possa attirare l’attenzione degli ultimi due matti toscani della mia escursione.

Lei, punkabbestia fino al midollo osseo, con un numero imprecisato di piercing su tutto il viso (ma almeno quindici…), le mani nere e sporche, le gambe piene di ferite e croste che non esita a mostrarmi fiera di sé. Lui un goblin. Capelli grigi lunghi e unti, magrissimo, camicia aperta sul petto su cui è appesa una collana di legno che lei annusa. Mi vedono. E dopo dieci secondi sono seduti al mio tavolo e mi dicono un sacco di parole. Dai centri sociali di Milano al fatto che vogliono fare la Rivoluzione (sì, maiuscolo) a Pistoia ma sono in pochi. E io non so come uscire da questo microincubo in cui a tutti sembra normalissimo che due vistosamente rimasti sotto si siedano impunemente al mio tavolo, in un bar del centro. Non so come ho fatto ad uscirne. So solo che quando mi hanno chiesto se avessi mai visto un elfo ho seriamente messo in dubbio che la cena di ieri sera non fosse allucinogena.

Salvata da una distrazione temporanea, sono scappata in macchina alla chetichella e mi sono rifugiata nel primo “posto sicuro” che ho trovato: Mac Donald’s. Sì, lo so, non è chic. Ma aveva quel non so che di abituale, di noto, che anche se non è poetico, almeno, ti fa sentire a casa… e magari non mi fa arrestare per guida in stato di ebbrezza se mi beccano, digiuna da stamattina, con una birra tracannata in cinque minuti sotto il solleone in mezzo ai matti toscani!

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