Ti lascia senza fiato questo autobus gremito, le strade deserte, nebbia e palazzi alti, freddi e anonimi, la voce della signorina dell’altoparlante che blatera in ceco nomi incomprensibili delle fermate. Prendi la metropolitana, viaggia forse 40 metri sotto terra, la scala mobile è ripida e lunga… ti trovi fuori dalla stazione, fermata Namesti Miru, e il mondo ha un altro colore: una chiesa che trionfa davanti agli occhi, luci natalizie dappertutto, palazzi bianchi con finestre alte in stile rinascimentale, e dietro le tende ancora luci. Lusso, eleganza, splendore di una civiltà che sembra avere la nobiltà tatuata dentro le viscere.
È mezzanotte, suonano le campane, entriamo curiosi in chiesa. Una cattedrale enorme, densa di persone intabarrate in giacche, cappelli e sciarpe… le luci si spengono, tutte, cala un silenzio profondo e pieno di attesa… un campanello, un flauto, e poi “Silent night” che esplode nella notte, insieme alla luce. È Natale, anche qui.
Il giorno di Natale trascorre a piedi per questa città magica, con il naso per aria, come Socrate ne “le rane” di Aristofane. Strade larghe, salgono e scendono, parchi, prati, alti palazzi dalle facciate in stile art-nouveau. C’è il centro di ‘Novemesto’ che è tutto uno sbarluccicare di luci e negozi alla moda e musica che esce dai caffè. Ecco la piazza della città vecchia ‘Staremesto’, forse solo un luogo, forse un miracolo. Dove ti giri è un’emozione, un colore nuovo. C’è la torre dell’orologio astronomico che quando batte l’ora fa uscire le statuine policrome degli apostoli; c’è la chiesa hussita con le guglie nere, ci sono i mercatini dove vendono dolcetti, cappelli dell’esercito ceco, guanti e artigianato locale. Fa un freddo boia, e comincia anche a nevicare. Ma è troppo bello per stare fermi, e allora tiri su il collo di pelo fino alle orecchie e ricominci ad andare…
La notte di Praga è freddissima, profumo di stinco di maiale che esce dalle hospode, luci che illuminano a giorno le facciate dei palazzi, il tram che sferraglia verso un ponte sulla Moldava. La jazzboat salpa alle 20.30, sotto il ponte che si chiama ‘Checuv most’. Con questo freddo salire su una barca sembra una follia, ma poi ti avvolge di colpo il calore di una stanza nella mezz’ombra, legno scuro e lucido con piccole stelle bianche appese al soffitto e una ragazza bionda sorridente che ti porge un bicchiere di ‘hot wine’. La serata trascorre ascoltando quest’orchestrina jazz mentre scruto silenziosa la città vista dalla Moldava, nera, che brilla del riflesso delle luci della strada. Dicono che Praga abbia una tradizione musicale straordinaria, ed effettivamente sembra di stare in uno di quei film di Natale dove la colonna sonora un po’ malincojazz ti accompagna tra le luci della notte.
Stamattina ho voluto prendere il tram: arriva a Mala Strana, la città piccola, e si infila in minuscole gallerie tra palazzi rinascimentali in terrificanti sensi unici alternati, e sale, sale, sale lungo la collina, fino al castello. Il Pratsky Hrad. C’è una cattedrale enorme tutta nera e dorata,palazzi rosa con le finestre bianche in cui si amministra lo Stato, una chiesa tutta rossa piena di reliquie di qualche supersanta monaca; e mentre sei lì che cammini in questo sfarzo imponente, e ogni parte del tuo corpo si sta irrigidendo dal freddo, ecco un cartello che indica il ‘vicolo d’oro’. E che fai? Non ci vai a vederlo?
Il vicolo d’oro è una viuzza con 22 casette basse, 22 numeri civici, 22 colori diversi, celeste, rosso, giallo… Ogni casetta era una bottega di un orafo e adesso è un negozietto di artigianato locale. E per un attimo sono convinta di essere in una bottega di Diagon Alley e tra poco uscirà Harry Potter con la sua bacchetta. La casetta azzurra è stata la casa di Kafka, e non si capisce come tanto buio possa essere entrato nel cuore di uno che ha vissuto in un posto così.
Cala la sera. Questo è il momento migliore della giornata. La città mitteleuropea sprigiona tutto il suo fascino al crepuscolo, quando la luce solare è così poca che si vede solo il cielo chiaroscuro in fondo e le luci dei palazzi sono accese con quel tono di giallo dorato che riscalda tutto intorno.
C’è un’altra sera, un’altra cena, un altro posto da scoprire. Al piano di sopra tavolini affollatissimi, un sacco di fumo e molto rumore, al piano di sotto una saletta che in realtà è una caverna: tetto curvo e nero, otto tavolini arrampicati accanto a due divani, buio pesto, su ciascun tavolo una candela. Sul fondo, una parete rossa aranciata e un piccolo palcoscenico. Stasera ci siamo bevuti quattro birre, mangiato due hamburger e godute due ore di concerto di latin jazz, dal vivo… un piano, un basso, una batteria e due sax, tenore e soprano. Non una parola. Solo musicisti che sorridono tra sè e bevono vodka come fosse acqua…Solo l’energia ancestrale del piano che suona la salsa e della percussione che ti fa vibrare dentro. Quasi non fa freddo stasera, con la musica sotto la pelle…
fierissima di vederlo pubblicato su:
http://viaggi.corriere.it/diari-di-viaggio/europa/repubblica_ceca/christmas_prague_75787.shtml
La tua descrizione di Praga mi ha ricordato l’ultima vacanza felice…agosto 2006 una vita fa…
Ci sono passato anche io , pochi giorni prima di Natale,ho dormito su una chiatta trasformata in hotel; non ho passato ore così romantiche, però sicuramente una città suggestiva, e la descrizione che ne hai fatto non è da meno.
C’era anche lei, e questo aggiunge nostalgia ai ricordi e all’atmosfera magica che hai descritto tu.
Grazie per questo viaggio a ritroso.
Peer Gynt.