Decidere è stato difficile. Avevo voglia di farlo ma non trovavo il coraggio. Poi ho pensato a cosa perdevo: l’occasione di avere un po’ di pace. L’occasione di non passare un altro weekend di inferno, chiusa dentro casa o zingara in giro senza meta, a farmi rovinare dall’angoscia che mi assale. Mi sono detta: va bene. Lo faccio. Al massimo… prendo il treno e torno a casa.
E c’era tutto il tempo. Per fare una minivaligia, una doccia, un viaggio in stazione, comprare qualcosa da mangiare al baracchino e salire sul treno.
Ho preso il mio posto, acceso il computer, lasciato che la settimana lentamente scivolasse via facendo le ultime cose e guardando cosa sarà la prossima. Ho viaggiato con tre ragazzi vicini, uno di fronte e due nei posti accanto. Tornavano tutti a casa, stanchi di una lunga settimana a Milano. li ho guardati e ascoltati chiacchierare, figurandomi quanti possibili mondi diversi ci sono dal mio. Guardando quante e quali sono le strade possibili. Mi sono accorta che frugavo nei loro occhi, nelle espressioni e nelle rughe del viso, nell’inflessione della voce e nell’abito, cercavo delle definizioni, cercavo dei modi di vivere, per individuare cos’ho e cosa mi manca, cosa voglio tenere e cosa voglio lasciar andare, ma soprattutto cosa voglio conquistare.
Sono arrivata qui, al sicuro in questa camera con il copriletto e le tende rosso ciliegia, e mi sono sentita a posto. Ho letto. Mi sono fatta qualche idea su cosa fare oggi. Scritto un po’. Mi sono addormentata.
Stanotte ho dormito. Quando mi sono svegliata, ho combattuto minuto per minuto l’indolenza che si impossessa di me quando ho paura. Ho guardato l’orologio. Un’ora per decidere, prenotare, lavarmi, vestirmi, uscire ed arrivare puntuale al mio appuntamento con me: visita guidata ai Musei Vaticani e alla Cappella Sistina. Sono uscita e sono andata al bar qui di fronte a fare colazione. Cappuccio, brioche e due sorrisi dei camerieri.
Ho indovinato la strada senza temere, ho camminato piano e con gioia e quando ho visto il colonnato di Piazza San Pietro mi sono emozionata. Molto. La mia anima ha vibrato. Perchè ero lì, da sola, ed avevo avuto il coraggio di farlo. Avrei voluto urlare, telefonare a qualcuno… ma non sarebbe stato condividere, sarebbe stato separarmi dalla mia emozione per farla parola. E allora me la sono tenuta dentro. E da stamattina ho un sorriso leggero stampato in faccia. Ho visitato da sola i Musei Vaticani e la basilica di San Pietro. Ho ascoltato la guida che spiegava tutto per ‘comuni mortali’ ma era interessante, ho osservato l’ignoranza abissale di certa gente che non tace mai, mi sono innamorata dell’Apollo del belvedere e della schiena del torso di Ettore. Sono rimasta fissa, travolta dai colori, a guardare gli affreschi di Raffaello e certi arazzi che sembravano Guernica 500 anni prima (la strage degli innocenti). Ho camminato da sola. In equilibrio. Non mi sono curata del tempo, nè di cosa fare dopo, perchè sapevo che ci avrei pensato a suo tempo. Ho odiato la calca e la confusione in Cappella Sistina e sono uscita quasi subito. Anche se, che bella idea, pensare che Dio avesse un vestito rosa…Ho camminato dentro la basilica, trovando l’arte ma non la fede, e poi sono tornata al sole.
Sono rimasta sotto il sole un’ora, tirando fuori tutta la gatta che vive dentro di me e ama la luce calda dell’estate, cercando un posto dove fermarmi. E chissenefrega se adesso sono un po’ appiccicosa.
Ho mangiato, da sola e tanto. Un hamburger, una birra. Ho ancora fame… un altro hamburger e un’altra birra! Mi sono distesa su una panchina dei giardini di Castel Sant’Angelo e ho finito il libro. Ogni tanto, mi sono persa con lo sguardo nelle chiome dei pini marittimi e nel cielo. C’era un venticello leggero, il silenzio di un giardino d’estate, il cielo blu, il sole caldo. Non c’era bisogno di niente altro. Solo quella pace strana dentro di me.
La cosa che mi ha fatta sentire meglio è stato il fatto che non ho avuto bisogno di cercare nessuno. Non ho neanche aspettato. Ho lasciato che fosse, è stato bello. Un giro in macchina, una grattachecca sul Lungotevere, e poi sul Gianicolo a guardare i tetti e il cielo di Roma.
Sono in camera. Tra 50 minuti vengono a prendermi. Non sono sicura di avere l’abito adatto, forse esco troppo “in tiro”. Chissenefrega. Sarebbe bello camminare a Trastevere stasera e scoprire che qualcuno si gira a guardare me. Poi mi metto le infradito in borsa, che se impazzisco sui tacchi ho una soluzione, e amen se stanno male col vestitino nero.
In questo momento sono felice di essere qui. Qui, adesso. Vorrei anche riuscire a sospendere ogni attesa sulla serata, ad abolire tutte le paranoie, a godermela per come sarà. Camminare per questa città incredibile stanotte, le luci, le gente, la musica, la vita che scorre dentro le vene.
Ci provo.
Vado piano e ci provo.