Gironzolando col naso per aria, tra le gocce di pioggia che si infittiscono e il vento freddo che si infila sotto la giacca, Sofia vede un’insegna che le piace e delibera la sosta: Anna’s cafè. Il nome è accattivante. Il locale, in realtà, si rivela un banale fast food per turisti boccaloni, ma è meglio di un hot dog su una panchina in riva al Danubio (forse).
Sono quasi le due, il cielo è grigio ma non piove più. Alice e Sofia chiacchierano assorte delle cose di tutti i giorni: del lavoro di Sofia, della piccola Anna, di quei vecchi amici in comune che Alice non vede da anni.
Camilla è a casa con Franz, Sissi ha dato forfait per il pomeriggio.
Assorte nella conversazione, non fanno caso al tempo che passa.
Oggi, in effetti, il tempo è una variabile del tutto trascurabile sul piano dei desideri: fare o non fare, vedere o non vedere … è lo stare che conta. Stare bene, stare insieme, stare lì. O almeno provarci.
Suona il telefono, è Elisabetta, è andato tutto bene. Alice tira un sospiro di sollievo. Elisabetta racconta in pochi minuti l’accaduto, rimandando al lunedì dettagli, particolari e pettegolezzi vari. Alice la ringrazia e riattacca. Poi, senza troppo farci caso, appoggia il mento sui dorsi delle mani reclinati, assume un’espressione da papera imbronciata e cerca di ricondurre i fatti a un qualche tipo di sequenza logica, ma è deconcentrata.
“Ti hanno dato qualche brutta notizia?”
“No, è che mi sono venute in mente delle cose.”
“Dai, non pensarci, andiamo.”
“Sì.”
Fosse facile.
Non impossibile, però, stemperare la nuvola grigia sopra la testa, con un raggio di sole che illumina la giornata e una via piena di negozi dritta davanti a sè.
C’è un sacco di spazzatura commerciale, in effetti, tra negozietti accalappiaturisti, caffè alla moda e grandi magazzini da centro città, ma c’è anche un sacco di gente in giro e tante vetrine e facce da guardare.
Il cielo di Budapest è grigio e non aiuta lo spirito. Sofia cammina silenziosa scattando foto tutto intorno. Sembra una professionista del turismo d’assalto: coi suoi capelli neri raccolti sotto il cappello e la macchina fotografica tra le mani, guarda il mondo attraverso l’obiettivo e, anche se non è esattamente chiaro quello che vede, pare le piaccia molto.
Sola con se stessa, Alice cammina guardandosi un po’ attorno e un po’ le punte dei piedi, cercando profumi di cui inondarsi l’anima. Purtroppo però un sabato pomeriggio piovoso in una capitale europea non è il luogo migliore per ristabilire un contatto primordiale con il pianeta e rinverdire l’olfatto. E questo non aiuta, specie se vale la teoria del piano inclinato, sull’umore. E così la pioggia e il fiume la fanno da padroni nella testa di Alice col loro ticchettare e scrosciare imperterrito e fastidioso, a peggiorano (se possibile) lo stato d’animo di una che, oltre ad essere partita malvolentieri, è costretta ad improvvisare costantemente, senza sapere cosa succederà, né quando. Lei che non può vivere senza aver pianificato tutto, e anche l’imponderabile.
Il Danubio, per di più, non è esattamente il Bel Danubio Blu di Strauss. È grigio, torbido, vagamente mosso, pieno di barche e chiatte che lo navigano. Ci sono grandi ponti di pietra e ferro che lo attraversano, e in mezzo un isolotto naturale che lo fa biforcare e poi ricongiungersi. Margit-Sziget, in effetti, ma ancora nessuna lo sa, di loro.
Alice guarda il corso tortuoso e torbido del fiume e si ascolta un po’ dentro: sente uno strano groviglio dentro la pancia. Sarà la vicinanza con l’acqua e la malinconia di una giornata di pioggia interrotta da qualche pallido raggio di sole, sarà la lontananza da Francesco? Sarà forse la sua assenza? O la presenza intermittente?
Cammina, mentre Sofia scatta fotografie dei palazzi e dei visi dei passanti, e cerca di rimettere in ordine il subbuglio in cui si trova, ma, al solito, non c’è verso.
In quello strano posto che sta tra la pelle e l’anima, con le mani che si sono improvvisamente scaldate e la mente che, invece, è paralizzata, si affollano immagini strane e diverse che non hanno senso né collocazione, tutte vicine.
C’è quella serata di ieri sera, che la infastidisce profondamente. *L’avevo detto, io, che non dovevo venire.* Ci sono le facce e gli sguardi delle sue vecchie amiche che la fanno sentire ancor più inadeguata di quanto lei già non si rappresenti. Camilla che ha realizzato i suoi sogni, Sofia con la sua bella vita apparentemente così facile, Sissi passata sotto ad un treno eppure ancora fieramente in piedi. C’è che Alice si chiede: *Che c’entro io? Io che non ho niente di eroico o brillante da raccontare?*
C’è che non si ricorda più perché si è sposata, ma si ricorda perfettamente quel giorno di luglio, seduta su un muretto, che piangeva a dirotto ascoltando della musica in cuffia e capiva che quel sole che pian piano andava giù voleva non essere lei, ma lo era.
C’è che si chiede cosa starà facendo Francesco, di sabato pomeriggio, sul lago Maggiore. C’era un matrimonio di amici di lui. C’era la sua ex, le sue amiche invadenti e spaccone, la compagnia di persone che Alice, da vecchia amante clandestina, non conoscerà mai.
Ci sono le facce delle sue amiche vecchie di una vita che quasi non sanno neanche più chi lei sia; ci sono le facce delle sue amiche nuove, che conoscono la Alice 2.0, la fighetta coi capelli corti e il sorriso smagliante da stregatta e neanche si immaginano che la strada lascia un sacco di segni, sul corpo.
Potesse, Alice sbatterebbe la testa su un palo, per svuotarla di tutte quelle immagini, per ricominciare a respirare, per capire da dove cominciare. O ricominciare. Di nuovo.
Invece non può.
Non può fare niente altro che assecondare questo stato d’animo angosciante ed aggrovigliato e ascoltare il rumore della pioggia, piazzarsi alla metà del ponte e stare ferma lì dieci minuti, con lo sguardo perso nel vuoto, ad ascoltare il fiume che grida e il tram che sferraglia e fotografare nell’anima quello che vede e sente, in modo da riuscire a farlo uscire, prima o poi.
Mentre Alice sta, con lo sguardo perso nel vuoto, appoggiata alla balaustra del ponte dell’Isola Margherita, Sofia sbuffa per attirare la sua attenzione e intanto traffica col cellulare. La macchina fotografica penzola al suo fianco, tenuta dalla tracolla messa di traverso.
“Andiamo verso l’albergo? Sono stanca e fa freddino.”
“Sì, va bene. Andiamo. Non è distante.”
Alice si incammina verso l’altra sponda del fiume, nella sua testa ancora le domande inanellate l’una nell’altra, un forte desiderio di rimanere sola, chiudersi in camera e non uscirne fino all’ora del volo di ritorno. Chissà cosa diavolo avrà fatto Sissi tutto il pomeriggio, da sola. Sveglia, lei.
“Tu hai idea di dove sia Sissi?”
“No, ma adesso le mando un sms per capire se è nei paraggi.”
“Beh, tanto ormai siamo arrivate in albergo.”
“In effetti hai ragione. Vabbè. La sento lo stesso.”
“Io andrei in camera, a che ora ci vediamo?”
“Al più tardi nella hall alle nove meno un quarto, l’appuntamento è in riva al Danubio sull’altra sponda al molo 7.”
“A dopo.”
“A dopo. Ciao.”
Sofia si chiude la porta della camera 403 alle spalle e comincia a trafficare col telefono, nel tentativo di chiamare Anna a Courmayeur.
Alice entra in camera e, senza neanche togliersi le scarpe, si lancia sul letto a guardare il soffitto obliquo. Non ha proprio nessuna voglia di andare alla festa, stasera.