Alla Római Teniszakadémia di Buda la domenica pomeriggio non c’è mai molta gente, forse perché il tennis è una cosa infrasettimanale, più da sfogo di tutte le fatiche frustrazioni della giornata, che non da meditazione domenicale.
Ma per Luka e Andrès è un rito, prezioso ed insostituibile. Un modo per scrollarsi di dosso la settimana, per prepararsi alla domenica sera, per sudare, bruciare, resettare e ricominciare da capo.
Si trovano direttamente in spogliatoio, non sanno né come né dove, ma si trovano sempre. Tacciono e sorridono, l’uno vicino all’altro, quasi fingendo di non conoscersi; si spogliano lenti e lenti si rivestono con l’abbigliamento adeguato e intanto partecipano alla conversazione propria di uno spogliatoio maschile, l’essenza pura della cialtroneria virile.
C’è una sola cosa di cui si parla, in spogliatoio, con maggior o minor grevità, e che unisce tutti, di qualunque età, nazionalità ed estrazione socio-culturale: le donne. Le donne avute e quelle solo sognate, le donne amate e quelle concupite, le donne possedute, in generale.
La bellezza, la paranoia, le fissazioni, la noia, l’ossessività.
Le donne belle, che fanno volare la testa e irrigidire il corpo, quelle meno belle, che destano comunque uno strano vigore bassoventrale se ci sanno fare … quelle brutte, poi, così brutte che non si possono guardare e che fanno i capricci e le menate e vogliono essere amate. A tutti i costi.
Quelle con le gambe lunghe, quelle coi fianchi larghi, le mogli, le fidanzate, le amanti. Le donne degli altri. Quelle che ridono, quelle che piangono, quelle che parlano sempre. Quelle che fanno bene l’amore e quelle che invece sembrano degli stoccafissi imbalsamati, quelle che sanno cucinare, quelle che ti prendono per la gola, quelle che invece ti prendono per il portafoglio.
In spogliatoio si parla di donne, quasi sempre, perché tutti gli altri argomenti sarebbero pericolosi e dividerebbero, il calcio, la politica, il cinema, mentre la femminilità, universalmente, è un segno che unisce e cattura. Le madri, le vergini, le suore, i pezzi di legno.
Quelle che escono, quelle che dicono sempre di no, quelle che se la tirano, quelle che la danno, quelle che ballano, quelle che fanno spasimare, quelle che vogliono tutto e subito, quelle che non sanno cosa vogliono.
Le donne, che strano fenomeno. Decreta Paul, il sessantacinquenne ballerino di salsa e tennista agonista, dall’alto della sua lunga e fruttuosa esperienza, che le donne migliori sono quelle che sanno ridere, quelle che hanno il sole nel sangue, quelle che sono libere e che sanno farsi amare nonostante i loro innumerevoli difetti, per la loro capacità di sintonizzarsi, farsi prendere e sentire forte.
Per un attimo, ascoltando Paul che pontifica, il pensiero di Andrès vola sul viso di Alice. Per un attimo, la sensazione è che lei sia una così: solare, calda, insicura, accogliente. Ma è solo un attimo, una vibrazione. Poi tutto torna al clima sudato e vaporoso dello spogliatoio, alle frasi gergali, alle espressioni rudi ed alle definizioni torbide.
Luka sembra terribilmente a suo agio in questo contesto, seminudo mentre si infila i calzoncini di tessuto tecnico, a raccontare il suo barbaro sabato notte con la rossa italiana, gatta feroce, silenziosa e collaborativa. Luka sorride, e quasi si lecca le labbra per la soddisfazione. Il film per l’avvocatessa bionda è finito così come è iniziato, e lui è già passato ad un’altra preda, un’altra storia da raccontare, un’altra femmina presa, avvinta e accompagnata in albergo, un altro appunto sul suo taccuino delle conquiste.
Andrès si prepara velocemente, ascoltando i discorsi senza partecipare, come una comparsa silenziosa dello spettacolo di cui anche lui è protagonista involontario. Nella sua testa si sfogliano, uno dopo l’altro, i corpi delle tante donne che ha avuto. Le gambe, le mani, i sorrisi, gli sguardi, le labbra. Le notti buie, i grigiori mattutini, i risvegli accanto a delle sconosciute nemmeno immaginate. Le labbra dolci di Maude, le mani calde di Anja, la risata pulita di Sara, le braccia fiduciose delle mille ballerine che ha preso e lasciato al bordo della pista. L’ingenuità dello sguardo di Alice.
Il grip attorno alla racchetta è saldo, il campo è libero, il sole è alto. È ora di giocare. E tutti i pensieri scompaiono. Sotto il cielo nitido, qualche urlo dagli altri campi, il suono sordo della palla sulla terra battuta, la racchetta che taglia l’aria e la sposta, i muscoli che si scaldano.
Dieci minuti, forse meno, di palleggi.
Poi è Luka, a rompere il silenzio: “Partitella?”
Il sole batte caldo sul campo marrone, il tessuto delle magliette fa sudare molto più del previsto, acqua salata gocciola dai riccioli neri, anche se corti. Le gambe scattano veloci a recuperare palle impossibili e soprattutto a non prendere palle possibili. Qualcuno impreca, dal campo accanto, per una occasione perduta, per una ovvietà sfuggita ai sensi.
Il sudore allenta la presa delle mani, grip o non grip, Luka tenta un servizio e la racchetta scivola al suolo. Sbraita, impreca, la lancia contro la rete, prende anche il palo. La racchetta che gli ha regalato Suzanne, la sua ex. La regina del diamante restituito due ore prima della notte di Capodanno. E non si sa se maggiore sia la soddisfazione di aver vituperato un dono o la frustrazione di averlo crepato.
Andrès ride dell’inutile avvilimento del suo amico che se la prende così tanto per una giocata domenicale, inveendo a sua volta per ogni banale errore, di tecnica o di forza.
Giocano per un’ora, concentrati solo sulla partita.
Svuotano la testa, sfiancano le gambe e le braccia, schiacciano via con il servizio i pensieri molesti e con il rovescio le fatiche della settimana. Preparano, con la stanchezza fisica, la libertà della piena presenza mentale.
Alle quattro e mezza, sotto la cappa cocente del sole, si avvicinano alla rete e si stringono la mano, commentando impietosi gli errori di ciascuno. Si fermano un paio di minuti a guardare Paul che gioca con un coetaneo: quelli sì che sono bravi. Alla loro età, giocano a tennis sotto il sole tre volte alla settimana, non perdono una palla e neanche un colpo, nella vita.
Luka si arrotola un asciugamano intorno al collo per asciugarsi dal sudore che gli gronda impietoso dalla testa, si scrolla la maglietta fradicia e si dirige verso lo spogliatoio.
“Ti va una sauna?”
“Mm… qui? Non andiamo ai bagni?”
“È una idea, ma io devo lavarmi, prima.”
“Facciamo così, doccia, sauna, e poi vediamo”.