*** su la Malena di Piazzolla***
Il viaggio in taxi dura pochi minuti, la notte è nera, il tassista non emette suoni. Quanti fiorini ungheresi per questa gita improbabile? Meno del previsto.
Di fronte all’entrata dell’Urania, Alice guarda con diffidenza la porta scura ed esita. Passano delle persone. Scendono veloci le scale, lei rimane lì, ferma. Alcuni minuti. Poi, trascinata da un gruppo di cinque, forse sei persone, si ritrova a scendere le scale.
Alle dieci la pista è già agitata dal variegato popolo sotterraneo del tango: sulle note di Anibal Troilo e della sua Malena una decina di coppie lucidano il pavimento di parquet, tra gli abiti sgargianti delle donne e i lunghi sguardi malinconici dei loro tangueri che misurano lo spazio della pista. ‘Malena canta el tango como ninguna y en cada verso pone su corazón …’.
Alice si avvicina ad un tavolino, posa la borsa con le scarpe su una sedia e si appoggia al muro.
La musica suona, le coppie ballano, le luci si abbassano, il fumo si infittisce, la milonga si anima. Alice rimane lì, con la schiena appoggiata ad una colonna, a fare, come nella peggiore delle sue catastrofiche ipotesi, da timida tappezzeria.
Qualcuno si avvicina ammiccante, ma lei tiene gli occhi bassi o guarda verso la sala. Nessun cenno ad accettare un invito, nessun moto di attenzione verso chicchessia.
*Lo sapevo, cazzo. Lo sapevo che finiva così. Lo sapevo che non dovevo venire. Ma perché sono così stupida? Oddio, eccone un altro …* Un altro moscone che si avvicina per fare lo splendido, o anche solo per invitarla a ballare. Lei scuote la testa, con un gelido sorriso di circostanza, e si rimette a fissare ostinatamente la pista da ballo.
*Adesso me ne vado. Lo sapevo che non dovevo venire. Non in questa maledetta milonga. Non in questa maledetta città. Io odio gli addii ai nubilati.*
Da sola, timidissima, riempie il tempo ascoltando la musica e guardando le caviglie delle altre ballerine, desiderando ardentemente danzare ma senza avere il coraggio di accettare un invito.
D’improvviso, una voce dietro l’orecchio destro le sussurra: “Speravo di vederti, querida”. Alle sue spalle, eccolo lì, l’argentino.
Andrès l’ha vista scendere le scale, dal bancone del bar. Impossibile non vederla, con quella maglia rosso ciliegia e quella pelle bianca in contrasto con la luce fioca della sala.
È stato una decina di minuti a osservarla, fermo, per vedere che avrebbe fatto. L’ha guardata appoggiare la borsa e appiccicare la schiena alla parete, come volesse scomparire. Ha scrutato lo sguardo timido e curioso annegato nella pista, i piedi che si muovevano spostando il peso da una caviglia all’altra, la testa leggermente inclinata e le mani dietro la schiena. L’ha vista rifiutare uno, due, tre inviti e poi si è avvicinato dal lato della pista, attento a non farsi vedere.
Si sfila la borsa dalla spalla, si siede accanto a lei e comincia a cambiarsi le scarpe. Senza fare una piega le porge il sacchetto nero con le sue, le sorride e le dice: “Te l’avevo detto che nessun ballerino di tango va in giro senza le sue scarpe da ballo”.
Alice lo guarda, tra l’interrogativo e lo stordito. È lì, è arrivato. *Oddio.*
Meccanicamente, si siede e indossa le scarpe nero e argento.
Come in una perfetta coincidenza astrale, anche se niente succede per caso, la musica si ferma un istante. Andrès si alza, le tende la mano e la porta in mezzo alla pista.
Poi, con un contrappunto lento e deciso, in climax ascendente, ecco partire una nuova tanda.
“Ecco il tuo tango, bellezza: la Mariposa, non la Cumparsita …”
Lui la attende nel suo abbraccio da ballerino navigato. Lei si accosta diffidente e rigida, poi la melodia si sprigiona nella sala, e lei si concentra e ci mette tutto il peso, in quell’abbraccio.
Dopo qualche passo tremolante, sulla ronda, la linea di ballo, si inclina milonguera, flette prima una caviglia e poi l’altra, nel balance, si appoggia con la tempia sulla mandibola di lui e si lascia andare, volando, proprio come una farfalla, sulla pista ancora quasi vuota.
*** e ascoltatevi La Mariposa di Osvaldo Pugliese, adesso, per immaginare***
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