Il telefono suona a vuoto, tre, quattro, cinque squilli. All’altro capo, a Parigi, nessuno risponde.
Andrès guarda l’ora sul polso e vede che è passata l’una, Maude non può dormire ancora, per quanto sia indolente. Parigi e Budapest sono sullo stesso fuso orario, anche quella non è una giustificazione.
Riprovare? No. Se non risponde ci sarà un motivo. Se non è a casa ci sarà un motivo.
Gli spagnoli molesti, nel frattempo, cominciano ad alzarsi rumorosamente dal loro tavolo, scolando gli ultimi fondi dei bicchieri, e si allontanano verso il giardino, gridando “¡Vivan los novios!”.
Andrès cerca di rimettersi a leggere il giornale, innervosito dalla situazione, ma le lettere si confondono sulla pagina e rimangono segni neri sparsi e privi di significato. Rialza la testa, per guardarsi attorno, e sente il cellulare vibrare. È Maude.
“Mon ami, è successo qualcosa?”
“No, chérie, perché?”
“È così strano che chiami la domenica mattina, temevo fosse capitato qualche accidente.”
“No, assolutamente. Ma ero qui, al sole, a guardare della gente che fa colazione, e mi è venuta voglia di sentirti.”
“E poi perché hai chiamato a casa e non sul cellulare?”
“Non volevo disturbarti nel caso tu fossi impegnata.”
“Mon ami, ero sotto la doccia, ieri sera ho fatto davvero tardi e mi sono alzata poco fa.”
“Anche io ho fatto tardi e ho poltrito a lungo nel letto stamani, ma poi cominciavo a soffrire, tra le lenzuola, senza di te, e sono sceso a fare il brunch all’aperto.”
“Che tempo fa?”
Nessuna reazione al tepore delle parole di Andrès.
“Oggi c’è il sole e fa un bel caldo. Una giornata perfetta per andare a giocare. Verso le tre mi trovo con Luka ai campi e andiamo ad allenarci. Dovrei lavorare un po’ e prepararmi per la riunione di domattina, ma non ho la testa.”
“Che devi fare domani?” che strano, Maude che si interessa del lavoro.
“Domattina alle nove ho il secondo meeting con i junior. Vediamo come se la sono cavata coi compiti che ho assegnato loro e prepariamo il tema della settimana. Poi, alle tre, ho il volo per Londra. Spero solo di poterli seguire da lì e di non dover tornare. Mi manca Parigi.”
“Oh mon ami, hai ragione. Paris è così bella in questi giorni. C’è un sacco di gente che va e viene, il tempo è splendido, e fa molto caldo. Non so come tu possa pensare di giocare a tennis con questa temperatura.”
“Lo sai che giocare mi serve a recuperare le energie. È troppo che sono in giro, sono stanco di questa vita. Certi giorni mi sembra di non avere radici.”
“Non dire così, mon ami. La settimana prossima torni a casa e facciamo una bella cena con gli amici.”
“E se invece organizzassimo una gita da qualche parte? Che so, un weekend in Camargue o in Costa Azzurra?”
“Andrès, ho tanto da fare in questi giorni, tra la rivista e la mostra di Paolo, non posso proprio pensare di lasciare Parigi. E poi, perché questa necessità di andare via? Non hai appena detto che vuoi tornare a casa?”
“Era solo un’idea, non tanto per andare via, quanto per stare un po’ noi due.”
“Oh, mon ami, ma abbiamo tutto il tempo del mondo per stare assieme noi due! Ora, se non c’è altro, andrei ad asciugarmi i capelli, così poi preparo il pranzo ed esco.”
“Va bene, cherie, ci sentiamo stasera, se non sono alle terme, altrimenti ti chiamo domani mentre vado in aeroporto.”
“Vai a ballare stasera?”
“Sì, all’Urània.”
“Bene, caro, divertiti dunque. Ciao.”
“Ciao Maude.”
Clic.
Almeno si è ricordata che è domenica e che lui, la domenica, balla. Maude che non balla il tango e che nemmeno ci ha mai voluto provare, che sembra non essere nemmeno mai gelosa di tutte quelle donne che lui abbraccia, nel silenzio e nella notte francese e in quella ungherese. Per un po’ lui ci ha provato, a tentarla, col tango. In fondo, uno spirito raffinato come quello di lei avrebbe dovuto apprezzare la magia profonda della musica argentina e l’emozione della danza. Ma Maude non ha mai accennato nemmeno a voler tentare l’esperimento, e lui si è semplicemente arreso, cercando in altre dame una valida ballerina.
Nella testa di Andrès la delusione è sottile, ma c’è. Che abbia o meno qualcosa per la testa, Maude è sempre troppo lontana e fredda. Non irradia luce né profonda gioia, non illumina le giornate, non capisce il senso delle cose che lui le racconta o le propone.
Lui non dice “mi manchi”, ma allude. Lei non reagisce.
Lui dice “non ho la testa”, lei non chiede perché.
Lui dice “radici” e lei risponde “amici”.
Lui le dice “andiamo via un fine settimana” e lei risponde “non ho tempo, ma abbiamo tutto il tempo”.
Ogni tanto Andrès si chiede che senso abbia tenere in piedi questa relazione. Non che non sia appagante, solo che non è viva. Come se non avesse luce, come se non avesse futuro.
Queste riflessioni sono inusuali, per lui. Come se tutte le sensazioni degli ultimi mesi si fossero concentrate in un unico punto e poi, alla maniera del nocciolo di particelle elementari del big bang, fossero esplose stamattina, senza alcun apparente motivo scatenante.
Nella sua testa compare una vecchia canzone di Springsteen che piaceva tanto ad Anja: “Everybody needs a place to rest, everybody wants to have a home, don’t make no difference what nobody says, ain’t nobody like to be alone. Everybody’s got a hungry heart…”
Anja sosteneva che ogni essere umano avesse un cuore bramoso e cercasse di sfamarlo entrando in relazione con gli altri, che non aveva senso stare soli, resistere ad abbandonarsi all’amore forte e appassionato e travolgente … poco importava se funzionasse o meno.
A quei tempi, dopo la follia, Andrès pensava che la bionda fosse una pazza furiosa e che invece stare soli e in equilibrio, o in relazioni poco distorsive del sé, come la sua, fosse la soluzione più adatta. Ma forse, adesso, a 36 anni con un bel lavoro e un futuro steso davanti a sé, la mancanza di qualcosa di solido e brillante comincia a farsi sentire.
Forse, dopo anni di serate tra intellettuali e torpore emotivo, è il momento di ricominciare a sentire l’inquietudine profonda e la ricerca della tanguera perfetta, non di ballerine qualunque.
Forse.