In camera fa caldo, ma non troppo, e c’è una strana quiete. Alice si prende dieci minuti per accendere il portatile, controllare la posta, rispondere ad un paio di email.
Una telefonata veloce, con Elisabetta, per fare il punto della situazione.
“Ciao Capo, come va, ti sei rilassata un po’? Quante cose hai già visto?”
“Ciao Lisa, tutto ok.”
“Beh, ma non mi racconti niente?”
“Sono un po’ di corsa e volevo sapere come va e se hai bisogno di me. Comunque, la città è davvero bella e promette bene, la birra va giù che è un piacere e il tempo tiene, anche se non è stupendo. Allora, sei pronta per domani?”
“A parte il fatto che mi hai lasciato da sola a gestire questo casino, direi che è tutto sotto controllo. La presentazione è pronta dall’una e l’abbiamo già discussa, riveduta e corretta. Abbiamo una conference stasera alle sette e mezza per metterci d’accordo sugli ultimi particolari e poi domani andiamo a spaccare tutto.”
“Cazzo, alle sette e mezza. Sono già fuori …”
“Capo, fidati. Ce la posso fare. Goditi ‘sta minivacanza, che te la meriti. Se ho problemi ti chiamo, tieni il telefono a portata di mano. Va bene?”
“Va bene, Lisa. Credo …”
“Certo che va bene, sono io, mica una qualunque.”
“Se lo dici tu … Vado a prepararmi allora.”
“Ecco divertiti. Ci sentiamo domani dopo la riunione che ti racconto com’è andata. Ciao”.
“Ciao”.
Clic.
Il silenzio è totale. L’ansia galleggia sopra lo stomaco, all’altezza del plesso solare. *Andrà bene?* Alice lo sa, che andrà bene, ma non essere presente la stressa ancor più di esserlo.
Scorre veloce la posta prima di chiudere, poi accende un po’ di musica mentre si prepara per uscire, alla ricerca del buonumore. La stanza si riempie delle note di “This will be an everlasting love” e della voce energica e sorridente di Natalie Cole. Lo sguardo cade sulla mail di Camilla, che già sembra vecchia di un anno e invece ha solo quattro giorni, e l’occhio si ferma ad osservare un particolare che le era sfuggito, leggendola velocemente: c’è un allegato. Un jpeg.
*Cielo!* Ecco un foglio di carta con sopra due immagini vecchie quasi tre lustri. In alto una foto stropicciata e scolorita, scannerizzata un po’ storta: Alice e Camilla, a mollo come due granchi nel mare azzurro di Koufounissi, Cicladi. Agosto millenovecentonovantacinque: i diciotto anni di Camilla e i due ‘porcelli annacquati’ (come lei stessa li aveva ribattezzati) che si godono quei giorni di magia e follia in campeggio.
Più sotto, le quattro vecchie amiche nel cortile della scuola: Sissi, Sofia, Camilla e Alice. Sorridenti, colorate e forse ingenue. Forse.
Lo sguardo di Alice si ferma lì. Su quella foto, su quei sorrisi.
*Cristo, quanto tempo è passato*. Qualcosa meno di quindici anni, per essere onesti.
La foto risale al maggio del ’96, una primavera trascorsa tra i banchi di scuola e quelli della biblioteca a prepararsi per l’esame di maturità. L’intervallo lo si passava in cortile, a fumare come delle ossesse e sentirsi, per una volta, quelle ‘di terza’. Quelle che tutto il resto della scuola le guarda perché sono le più grandi.
A guardare la foto non le si riconoscerebbe, o forse sì?
Più a destra di tutte Camilla, bionda platino in quegli anni, con un testone di capelli crespi forzatamente scalati per rimanere disciplinati, mansueta, silenziosa, accondiscendente.
Alla sua destra, con le braccia stese sulle spalle delle altre, Alice. Capelli lunghi, lisci e castani. Carnagione bianca, viso rotondo, sorriso ebete di quella che non ha mai imparato a fare la ‘faccia da foto’. Spalle larghe da nuotatrice e braccia grandi per tenere, Alice posa il braccio destro sulla schiena di Elisabetta, detta Sissi: la diva. Capelli rossi, lunghissimi, lisci come spaghettini di riso, occhi celesti e lentiggini, un corpo da bambola. Sissi con la sua posa da Hepburn, che tiene la sigaretta vicino al viso, ma non la fuma, capricciosa, viziata, intelligente e determinata. L’ultima, sulla sinistra, la più esile e flessuosa di tutte, Sofia, rigorosamente in nero, capelli corvini lunghi fino alla metà della schiena, occhi verdi truccati e il sorriso splendido di quella che con la ‘faccia da foto’, invece, ci è nata.
Amiche per la pelle, convinte di essere inseparabili, sognavano di ritrovarsi sessantenni a bere il caffè al baretto fuori dal Liceo. E forse non avevano calcolato che la vita, gli amori, le strade diverse che stavano prendendo le avrebbero faticosamente e irrimediabilmente allontanate, fino a ritrovarsi quasi sconosciute al primo addio al nubilato, quello di Alice, poi al funerale della mamma di Sissi, al matrimonio di Sofia e infine, infine stasera, cinque anni dopo l’ultimo incontro, a mille chilometri da casa, nella impensabile capitale ungherese.
Mentre ricorda, Alice si prepara per uscire. *Dove andiamo? Cosa facciamo? Non si sa.*
Per non rischiare, si mette i jeans e le scarpe col tacco.
Il CD continua a suonare e, mentre indossa anelli e orologio, partono le note di un mambo. Alice sorride e si mette a ballare, per caricare le batterie, mentre fa le prove della ‘faccia da foto’, allo specchio. Chissà perché allo specchio viene sempre e in fotografia mai.
Fuori dalla porta a vetri dell’albergo un taxi e poco davanti Sissi: un abito a pois in pieno stile Marylin, occhiali scuri, capelli stranamente corti, anche i suoi, e la solita Marlboro in mano. Adesso fuma le Gold, quelle nere. Ovviamente. Sono le uniche da figa.
Alice esita. Ecco Sofia. Spolverino, pantaloni a sigaretta e scarpe basse, telefono in mano. Sofia la bacia, tira Alice per la mano e la trascina fuori dall’albergo.
“Ciao ragazze, finalmente. Pensavo non arrivaste più. Andiamo?” Sissi sale in taxi e si accomoda dietro al conducente, si aggiusta i capelli e guarda fuori, sorridente e divina, come sempre.
Il taxi corre lungo il ponte delle Catene, verso Pest, il sole è tornato alto nel cielo ma l’aria è fresca e c’è ancora un po’ di vento che entra dai finestrini semiaperti. Il Danubio verte dal grigiastro al blu, il ponte di ferro verde scorre attorno a loro, e, dietro, il sole accenna a tramontare.