***da leggere su queste note***
Alle due di notte, dopo un altro paio di bicchieri, Andrès cammina assorto verso il suo albergo, a Pest.
La città è ancora animata per le strade, complice questa estate calda e umida e le bancarelle in riva al Danubio: ci sono coppie che camminano e stormi di ragazzi che si avviano dentro e fuori dai locali della movida ungherese. Chissà che fanno, chissà dove vanno, chissà chi sono.
Luka e Andrès, stavolta, non hanno fatto serata. Troppo stanchi, tutti e due, di una settimana faticosa e della calura continentale, sono rimasti ad ascoltare suoni e voci e socializzare al bancone del Four Seasons. Qualche conoscenza che passa, qualche bionda da intontire, un po’ di buona musica di sottofondo nella lounge, quattro chiacchiere tra vecchi amici stanchi, vagamente lascive, a commentare volti e forme del popolo del lungo aperitivo ungherese.
Luka ha preso il taxi, per tornare in albergo. Aveva troppo caldo per andare a piedi. Andrès invece ama camminare, e lo fa spesso, tutte le volte che può. E cammina, nella notte buia, tra i palazzi vecchi e illuminati della brulicante Pest.
Nelle lunghe serate goliardiche della sua vita universitaria, a Barcellona, ha imparato a godere del suo passo silenzioso sul pavimento della Rambla, a depositare nei talloni lo svarione e i pensieri molesti, a rientrare faticosamente in se stesso dopo l’estasi e l’allucinazione.
*Già, l’estasi e l’allucinazione. Quanti anni.*
Cammina, immagina, pensa, ricorda.
Figlio di un diplomatico e di una pittrice argentini, nato cittadino del mondo, ha passato l’infanzia e l’adolescenza in giro tra capitali europee e ambasciate, cambiando scuole, amici, abitudini. Cresciuto parlando tre lingue come fossero la sua, non ha mai avuto alcun problema a comunicare con lo straniero. Nessun problema ad integrarsi, nessun problema a riconoscere il prossimo nell’altro. Il Liceo a Parigi, speso tra libri, feste, e stagioni estive da animatore in Costa Azzurra, e il primo grande amore con Sara, un’italiana che aveva passato un anno a casa della sua famiglia, come ragazza alla pari, per imparare il Francese e pagarsi l’Erasmus.
Un’altra lingua, un’altra vita. Un amore impossibile da perseguire, a distanza, pochi mesi dopo, quando le lettere arrivavano con quindici giorni di ritardo e le telefonate internazionali erano troppo costose. Di Sara, in fondo, sulla pelle di Andrès è rimasto un ricordo morbido e un po’ salato, della femminilità calda e immatura delle giovani donne italiane, e il suo accento indefinibile, in qualunque lingua parli.
A vent’anni, stanco di quella realtà comoda che la sua facoltosa famiglia gli consentiva, Andrès aveva deciso di andare a studiare altrove, scegliendo quasi casualmente, come meta del suo peregrinare esistenziale, la facoltà di Economia e Impresa della Universitat de Barcelona, appunto.
Come nel titolo dell’omonimo film, Andrès ha vissuto per quasi quindici anni a Barcellona in un piccolo appartamento spagnolo nel Barrio Gotico, prima studiando e poi lavorando, si è laureato e specializzato brillantemente, come gli era ovviamente richiesto dalla sua esigentissima famiglia e dopo un po’ di vagare tra locali, studi fotografici e aspirazioni da artista, aveva cominciato la sua carriera da creativo della pubblicità.
L’irregolarità della sua natura, però, non gli aveva mai permesso di rigare dritto come avrebbe preteso suo padre, facendogli spendere tempo e soldi non in cene e locali di lusso, ma in ogni tipo e genere di eccessi. Negli anni dell’università e soprattutto dopo, tra un dipinto cubista, una foto rubata per strada e un bicchierino di vodka, aveva frequentato i locali dei bassifondi, sperimentato qualunque tipo droga, avuto tante e diverse donne.
A un certo punto, inspiegabilmente, si era innamorato di una studente cronicamente fuoricorso di biologia marina, Anja, un po’ tossica un po’ smarrita, bella come la vita persa e dissoluta che conducevano. Anja aveva dread biondi e un sorriso da strega, rideva a squarciagola, parlava continuamente.
Nelle notti spagnole, di ritorno dalle feste a casa di amici avvinti dall’onda del lato oscuro come loro, Andrès e Anja camminavano, mano nella mano e ciascuno per sé, per raggiungere a piedi il loro appartamento confuso e disordinato. Anja guardava stupita e rapita il cielo, studiava astrologia, cercava il mare sopra la sua testa. Leggeva le stelle, presagiva futuri e catastrofi, osservava atterrita la luna calante. Andrès scrutava i volti delle persone che incrociavano, ne studiava la camminata e l’espressione, immaginava storie, che poi riversava in immagini e parole sul lavoro. Camminava, lento, appoggiando piano il piede al suolo, dal tallone alla punta, assaporando ogni anelito del’aria della notte, cercando, così, di gestire e abbassare il livello di adrenalina.
Andrès e Anja, la coppia del secolo. Il sole e la luna, Narciso e Boccadoro. Il vento, di notte, tra loro.
Una mattina Anja era uscita più presto e più silenziosa del solito. Muta, pensosa. Era rientrata a notte fonda, dopo aver preso qualcosa di troppo forte per reggerlo da sola, con un tatuaggio a sorpresa (o a tradimento?) e il cervello completamente annegato nel mare.
Quella notte Andrès l’aveva guardata dormire, prona e nuda nel letto, bellissima, con la faccia affondata nel cuscino e i dreadlocks biondi ancora allacciati in un elastico grosso di plastica verde, il respiro pesante, e una gigantesca carpa con kintaro disegnata in tratti sottili e sfumature di grigio sulla sua splendida schiena.
L’aveva guardata per ore, prima di capire che l’aveva persa.
Poi si era rassegnato, si era alzato, lavato la faccia, e aveva comprato un biglietto di sola andata per Parigi. Non per tornare a casa, ma per andare via.
Dopo pochi giorni Anja era partita per i mari del sud per fare l’istruttrice di Scuba Diving.
Di quelle lunghe, lontane eppure vicinissime notti spagnole ad Andrès è rimasta cucita addosso la voglia di camminare, lo sguardo indagatore sui visi degli sconosciuti, la curiosità per l’ignoto, una fantasia molesta e sfacciata ed una strana malinconia, neanche troppo latente.
Stasera Andrès cammina, come fa sempre, torna indietro con la testa nel passato e accoglie e scaccia i pensieri, ma c’è qualcosa che non lo lascia tranquillo e svogliato come al solito. Dietro i ricordi di un passato che sembra remoto, anche se è quasi dietro l’angolo, un’immagine vaga e tiepida gli passa intermittente davanti agli occhi. Gli occhi a mandorla dietro gli occhiali neri di quella ragazza italiana, al bancone del bar, quel sorriso morbido, timido e luminoso. Quello sguardo che improvvisamente si è acceso sulla voce di Edmundo Rivero, spalancato e annegato nella musica, lasciando intravvedere una sensualità vivace e accattivante.
Nella testa di Andrès, e nel player che ha appena deciso di accendere, suona invadente ‘Direfente’ dei Gotan Project. Lui cammina, al lento ed impossibile passo di un tango elettronico pieno di melodia altalenante, prova a guardare il cielo, non ci vede proprio un bel niente dentro, tranne forse che c’è della luna. Poi torna col pensiero sul viso da bambola e sugli occhiali neri, sulle scarpe da tango e sul bicchiere vuoto … ci torna e, per un secondo, pensa che la signorina fumetto non può, davvero, passare in-diferente a chi la incontra.
Interessante, sarebbe, se la moretta timida si presentasse davvero in milonga, dopodomani. Curioso scovarla, portarla a bere qualcosa, scoprire se dietro quella pelle bianca c’è anche la seta.