“Bevete qualcos’altro?” dice Luka, svuotato rapidamente il bicchiere.
“No, grazie”, risponde Alice, soprappensiero, senza neanche riflettere.
“Perché no?” infierisce Sofia, sorriso docile, vagamente opaco causa bollicine, e un’accondiscendenza adolescenziale preoccupante.
*Cazzo sta dicendo?*
Nel giro di pochi secondi Luka fa cenno barman di avvicinarsi, Sofia si accoccola zuccherosa sullo sgabello, intorno a lei si compone un gruppo compatto. Alice armeggia tra la borsa e il telefono, fingendo di leggere un messaggio, pur di non guardarsi intorno. *Ma chi diavolo sono questi?*
Nel giro dei successivi minuti scopre che i due tizi che stanno cercando di parlare con lei e conversano amabilmente con Sofia sono due consulenti che lavorano per la stessa società. Il motivo apparente dell’intensa conversazione con Sofia è che due senior di quella società di cui non ha colto il nome ne hanno, da dire, sulle risorse umane, e mentre si scambiano opinioni sulla mobilità del mercato del lavoro ordinano altri quattro bicchieri.
Alice tiene gli occhi bassi, furtiva.
Andrès, curioso, si avvicina. Lei sembra tremare, ma forse è una impressione. Lui rimane fisso a guardare le labbra e le mani di lei, che si muovono nervosamente nel tentativo di gesticolare poco. Osserva, silenzioso, le mani, gli anelli, la pelle tesa, i polsi sottili. Gli altri parlano, presi dal contesto, lui è distratto dall’evanescenza del colore di quella pelle bianca sugli abiti scuri.
“Avete cenato?”
A questo punto, sotto lo sguardo sbalordito e attonito di Alice, Sofia asserisce e afferma che, anzi, il Goulasch era fin troppo pesante.
*No, ma io dico, ci nutriamo di bollicine stasera?*
Non che sia sbronza, è che proprio si chiede cosa stia facendo lì, con due perfetti sconosciuti, un’amica sposata che fa e non fa la civetta e un vago senso di fame ed ebbrezza tra lo stomaco e la testa.
*Dove siamo? Four Seasons Hotel, Budapest. Bar dell’albergo. Pieno di uomini d’affari e altre amenità. Qualche escort? Boh, qua son tutte bionde. Non ho mangiato niente. Ho fame. Sofia è andata in bagno. Di nuovo. Lo spilungone con gli occhi verdi e gli occhiali neri – come si chiama? – Luka parla al telefono. Qui davanti a me c’è quello dell’aereo con la stretta di mano forte. Come si chiama? Andrès. Chissà da dove viene questo accento strano. Cazzo, il sottofondo…*
“Oddio… Jacinto Chiclana …” commenta tra sé ad alta voce, mentre cerca di tornare all’ambiente e ascolta perduta le note nell’aria.
E mentre mormora il titolo della canzone e Andrès la guarda, Alice, improvvisamente, si trasforma. Lo sguardo si illumina, il pensiero vola lontano, il sorriso si stende, le labbra si schiudono, la testa si piega involontariamente a sinistra.
“Borges sulle note di Piazzolla. Notevole. Come fai a conoscerla?” commenta Andrès, tra un sorso e un’occhiata equivoca alla barista.
“Mi piace il tango.”
*Chissà se questa donna fa l’amore come balla il tango. Perché il tango lo balla di sicuro.*
“Ti piace? O lo ami?”
*Ma come si permette questo??*
Le parole di Andrès sono dette con la stessa agghiacciante semplicità con cui commenterebbe una partita di rugby. Non c’è alcuna forma di studio, nessuna costruzione, nella sua voce. Schietto, diretto, apertissimo. Assolutamente consapevole del muto stupore che desta intorno a sé.
Alice reagisce, inspiegabilmente ubriaca della sua voce: “Lo amo come si ama una scarpa bicolore argento e nero che ti fa scivolare sulla pista, come si ama la voce di Milva, come si assapora la malinconia che ti attanaglia mentre ascolti Rivero che canta …”
*Ma cosa diavolo sto dicendo?*
“Balli?”
*Ma questo dice una parola sì e tre no?! Forse non sa l’Italiano, allora.*
“Ballavo. Una volta. Quando avevo un ballerino. Adesso, non ballo più. Ho smesso.”
“Vieni a ballare, domenica sera? Vieni in milonga, si chiama Urània, come il pianeta. Suonano tradizionale ed elettronico, dipende dall’ora. La milonga ungherese è molto affascinante. Hai le scarpe?”
“Ma no, non mi ricordo neanche più come si fa.”
“Hai le scarpe?”
Quest’uomo alto, penetrante, vivo, diretto, sfacciato, la guarda e insiste. Lui, i suoi occhi azzurri e la sua faccia da schiaffi, ma forti.
Insiste.
“Ovviamente no, le scarpe sono a casa, sono qui solo per un weekend.”
“Una tanguera non lascia mai le scarpe da ballo a casa.”
*Lo so, genio, ma mica te lo vengo a dire.*
*Lo so, bambina, che le scarpe le hai e che verrai. Infine.*
Sofia torna, il bicchiere sul bancone quasi vuoto, il sorriso scomposto di quella che ha bevuto un po’ troppo, l’attesa negli occhi.
“Sofi, andiamo? Camilla e Sissi ci aspettano …”
“Volete un passaggio?”
“No. Abbiamo due amiche che ci aspettano.”
Andrès sfiora il fianco destro di Alice con attenzione con una mano, per aiutarla a scendere dal maledetto sgabello. Lei lo guarda tra il confuso e lo spaesato. Lui gode improvvisamente di quella strana intensità.
Alice prende Sofia per l’avambraccio e la trascina lontano dal bancone, verso il loro tavolo, nell’altra stanza, interrompendo miracolosamente quello stupido idillio della conversazione che stava diventando inutilmente pericoloso.
Al tavolo, Camilla e Sissi si sono vestite per andare e le stanno aspettando.
“Torniamo a piedi?” chiede Sofia, imbambolata e sorridente.
“Sta venendo Franz a prendermi.” risponde Camilla.
“No dai, che palle, chiamiamo un taxi, sono stanca.” miagola Sissi.
“Se loro vogliono andare a piedi, ti porto io in albergo, Sissi”. Sempre generosa, Camilla.
“Va bene, vengo con te. Ci vediamo domani ragazze.”
All’uscita dal locale, dopo i saluti di rito, Sissi e Camilla salgono sulla macchina grigia di Franz, sventolando le mani dai finestrini.
Alice, perplessa, comincia a camminare, prende Sofia per l’avambraccio e la traina verso il ponte. Forse, dopo due passi, tutto questo subbuglio interiore migliorerà. Eppure non possono essere le bollicine e il digiuno a far girare così la testa …
Sofia si lascia trascinare e, nel giro di due minuti, imbraccia la sua reflex e comincia a scattare, mentre Alice cammina silenziosa verso l’albergo, assorta nel magico silenzio che la lega e in qualche pensiero confuso e probabilmente cosmico.
Andrès guarda Luka e ordina un altro bicchiere, ammiccando, e intanto assapora quella strana luminosità pulita che gli è rimasta cucita addosso, tatuata nella voce argentina di Alice. Una sensazione strana, intrigante, sì, ma anche attraente, come la biondina svenevole che lo guarda dall’altro capo del bancone.
In trepida attesa del pezzo forte:
‘magia in milonga’