Sotto la porta della camera c’era un foglietto di quelli del block notes dell’Art Hotel piegato in due. Dentro un messaggio con la grafia di Sofia, che negli anni è diventata più stretta e fitta, sempre sofisticata, probabilmente illeggibile per uno che non la conosce bene. “Ho cambiato volo: parto alle 8.00. Ho discusso con mia suocera e mi è venuta l’ansia di vedere Anna. Non avevo voglia di rovinarti la domenica. Non te la prendere. Ci sentiamo quando arrivi a Milano. Un bacio. S.”
C’è solo da capire se questa sia un’occasione o una maledizione: tutto il viaggio da sola. Tutte queste ore, Alice in compagnia di Alice, a ricomporre il puzzle o ad assistere di nuovo al vento del Nord che spazza tutti i pezzi per terra?
*Sono le otto.*
Soprattutto, c’è da darsi una mossa, in un’ora e mezza al massimo bisogna essere a Ferihegy. Grattandosi la testa, Alice lancia uno sguardo distratto al telefono appoggiato sul comodino, che segnala batteria quasi scarica e tre messaggi da leggere.
Il primo è di Camilla: “Ragazze, grazie di tutto. Sono stata proprio contenta di avervi riviste tutte assieme.”
*Rispondo dopo.*
Il secondo è di Mara: “Buongiorno capo, mi confermi che arrivi alle 12:35 a Malpensa? Ti vengo a prendere io, mangiamo qualcosa per strada e poi ti porto a Milano. Così facciamo a tempo per la riunione delle quattro. Fammi sapere”.
*Cazzo, è lunedì: la riunione delle quattro. Devo riuscire a concentrarmi. Doccia e caffè, e poi andrà meglio. Caffè, già. Dove lo trovo, un caffè? A Ferihegy.*
“Ciao Maretta, confermo tutto. Sto andando in aeroporto, ci vediamo dopo. Comunque, ho il telefono acceso”.
*Ecco, sarà meglio che lo metta in carica.*
Il terzo messaggio è di Andrès: “Buon viaggio, bellezza. Ricordati di un tango a Budapest.”
Lo stomaco si aggroviglia, il corpo si ferma, la testa si blocca su quelle poche parole nere sul grigio nella nuvoletta del messaggio.
Alice appoggia il telefono, scuote la testa come a liberarla dai pensieri molesti, spalanca la finestra e, nella sua perfetta versione efficiente e iperattiva, si dà da fare. Arruffa un po’ a caso i vestiti dentro la borsa, lasciando fuori quelli che le servono per essere presentabile per una riunione col cliente e che ha deciso di mettere in valigia in fretta e furia giovedì sera.
Con addosso la biancheria e le scarpe (strana abitudine che ha sviluppato di recente), Alice raccoglie in fretta gli oggetti sparsi nel bagno, dallo spazzolino al trucco, lo schiaccia forte dentro la borsa che, chissà come mai, al ritorno dai viaggi sembra sempre troppo piccola, poi si infila nel vestito e si mette la giacca. Chiude la borsa, scollega il telefono, controlla di non aver dimenticato nulla.
Si volta e si guarda allo specchio.
*Ma sono io?*
Si gira e si rigira, si sorride, vagamente incredula. Prova a fare un paio di facce da foto per convincersi che c’è qualcosa che non va. Ma non c’è niente che non vada.
Dallo specchio, le sorride maliziosa una ragazza alta e flessuosa, con una curva morbida sui fianchi che, sarà imperfetta, ma, imbustata nel vestito panna e caffè, è davvero invitante. Alice attraverso lo specchio ha i capelli castano scuro e un caschetto un po’ spettinato dagli occhiali, ha i polsi sottili, le dita lunghe e tre anelli di acciaio, le gambe belle, un portamento elegante e gli occhi intelligenti. Che sia lei stessa? Capace di vedersi così con i suoi stessi occhi?
Alice si guarda attraverso lo specchio e si riconosce. È quasi un anno che si guarda e non si ritrova, ma adesso … se le piace, quello che vede. Allora forse è vero, bisogna passarci attraverso lo specchio, per andare a trovare quella dall’altra parte.
Fa spallucce, rassegnata a dimenticarsi di essere sicura di quanto è bella appena si allontana dallo specchio, si carica le due borse sulla spalla destra, le cuffie nelle orecchie e scende nella hall.