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Art Hotel, Buda

Dai campi da tennis a Bem Rakpart ci vuole una mezz’ora a piedi e poco meno in tram. Luka, ovviamente, ha optato per il tram.

Andrès lo accompagna fino all’entrata dell’albergo.

“Che fai adesso?”

“Mah, bevo una cosa, leggo un po’, poi vado all’Urània.”

“Allora ci vediamo più tardi. Non andartene senza averne fatte volare almeno quindici, eh?”

“Tranquillo socio. Buona serata. E non fare troppi casini.”

“Tranquillo tu. Ciao.”

“Ciao.”

Luka si dirige sicuro e aitante verso il reception desk, sgrana un paio di sorrisi da Casanova alle receptionist e fa comporre il numero della camera 405, come si è appuntato sul cellulare nei fumi del taxi, la scorsa notte, dopo esserne uscito stanco e leggero. Sissi lo aspetta di sopra, deve finire di prepararsi, e autorizza il personale a farlo salire.

Andrès si dirige verso il bar dell’albergo. Si siede su un divanetto, si fa portare il solito Vodkatini, ricomincia a leggere il giornale che ha interrotto stamattina.

Una delle cose che ama di più, della domenica, è l’attesa della milonga.

Il corpo stanco e disteso dopo lo sport, la testa vuota dei pensieri, la sera calda che si stende sulla città, la musica nell’aria.

Le sette sono passate, ma lui non ha voglia di chiamare Maude. Ed evidentemente lei nemmeno. Come non avessero niente da dirsi, o, semplicemente, come se si fossero già detti tutto con quella telefonata mattutina inattesa.

È l’ora dell’aperitivo, e mentre i barman si affaccendano a preparare cocktail per gli ospiti dell’albergo e gli avventori di passaggio, dal piano bar un pianista accenna a suonare un po’ di accompagnamento musicale. Roba facile e tradizionale, come “Feelings” e “I love you just the way you are”, che va bene per tutti e riempie l’atmosfera della leggerezza estiva e gioiosa di chi è in vacanza.

Ad un certo punto, inaspettatamente, Andrès sente delle note che riconosce nitidamente senza individuare il titolo della melodia. È una vecchia canzone, che risale dalla nebbia dei tempi, che suona nella sua memoria senza apparente significato, senza retrieval cue, fino a che un viso non gli riappare nella mente, nitido e sorridente. Sara.

“E volavo volavo felice più in alto del sole ed ancora più su, mentre il mondo pian piano spariva laggiù,
una musica dolce suonava soltanto per me…”

Una coppia si alza dai tavoli e balla, abbracciata. Andrès li guarda e ricorda Sara, il suo primo amore perduto nella notte dei tempi. Sara cantava sempre, mentre stirava, mentre studiava, cantava con la sua splendida voce e i suoi occhi celeste cielo, quelle vecchie canzoni italiane sempre allegre. Sara camminava per le stanze e lasciava dietro di sé una scia di buonumore e un profumo croccante. Finito il suo anno alla pari e il suo Erasmus, era tornata in Italia, e continuare la relazione a distanza era diventato impossibile.

Mai però si erano persi completamente di vista. Una lettera, una telefonata, un aereo. Per qualche anno avevano continuato anche a fare l’amore, occasionalmente, e a ricordare i bei tempi andati. Poi, ad un certo punto, lei si era ritirata, anche perché criticava aspramente lo stile di vita dissoluto che Andrès aveva preso a condurre a Barcellona. Puta Barcelona, come diceva lei.

Tornato a Parigi a lavorare, nel suo primo viaggio in missione a Milano, le aveva scritto, si erano incontrati e, magicamente, ritrovati. Ritrovati amici, certo, perché Sara nel frattempo si era innamorata, sposata e aveva anche due bambini. Sempre bellissima, sempre piena di vita, si era riempita di una ricchezza in più: la famiglia, che per queste Italiane sembra essere un tratto essenziale del sogno.

Adesso escono assieme quasi sempre quando Andrès è in trasferta a Milano, mangiano una pizza, bevono una birra, ridono come due vecchi fratelli. Vicino a Sara lui respira luminosità ed equilibrio, saggezza e vita, si riempie i polmoni di aria e poi torna a casa più carico (se torna).

Ogni volta che la rivede, Andrès ne esce con un attacco di nostalgia, pur priva di desiderio. Sara è rimasta la bella bionda che era da giovane, è un po’ ingrassata, ha qualche ruga ed è così felice che desiderarla sarebbe impossibile, però gli lascia addosso il ricordo dell’amore, quello vero. O forse solo quello dei giovani. L’amore intenso, appassionato ma anche pieno di speranza. Di parole, di poesia, di futuro. Non feroce, come con Anja, non sofisticato e asettico, come con Maude.

Quella emozione forte che ti fa alzare la mattina e avere voglia di fare colazione per andare “a farsi il mondo” come John Travolta alla fine di Staying Alive.

Andrès non prova più quella sensazione, da anni.

La mattina si sveglia e si veste per andare in ufficio e trova l’energia nell’entusiasmo che trasferisce sui suoi ragazzi, nella passione per il lavoro, nella soddisfazione che riporta a casa per una sessione creativa ben fatta. Ma il suo cuore non pulsa. No.

Batte, quello sì, malinconico e intenso, quando balla, quando ascolta il tango.

Con Sara ballava, una volta. Vanno ancora a ballare, ogni tanto, ma è più difficile perché lei difficilmente fa tardi la sera, suo marito è un po’ geloso, tipico italiano, e non digerisce volentieri che la sua splendida moglie si aggiri sola per la città di notte e nelle braccia di sconosciuti.

L’ultima volta che l’ha vista, in primavera, sono andati assieme a teatro, un martedì sera alle sette e mezza, a vedere un Otello di Shakespeare risceneggiato in milonga. Lo spettacolo era interessante e avvincente, messo in scena da una compagnia di nicchia e da un gruppo di amatori del ballo che facevano da comparse in fondo al palco, accompagnando la gelosia e la violenza della storia con danze turbinose, strazianti e molti, molti adorni.

La scena più toccante di tutta la tragedia aveva fatto piangere Sara e sussultare Andrès: Desdemona ed Emilia, sedute ad un tavolo sul lato del palcoscenico, coi visi illuminati solo da una candela, intonavano con le loro sole voci tremanti “Tu palida voz”, mentre dietro la cortina, come ombre cinesi, tre coppie volteggiavano drammatiche ed avviluppate sulla melodia del vals. La scena, di una intensità incredibile, aveva rappresentato l’intero senso del dramma femminile in quel canto, travolgendo tutti gli spettatori con l’impatto forte della musica e della voce.

Andrès aveva riaccompagnato Sara a casa e poi si era ritrovato a camminare solo nella sera milanese, per tornare in albergo, pensando a quanto forte e travolgente potesse essere quel tipo di emozione. A come in qualche modo fosse fortunato a non provarne più.

Ora, però, non è così convinto di quel ricordo.

Una parte di lui rivorrebbe quel calore, quell’ardore sincero, quella passione calda ma non feroce che lo accompagnava una volta, che dava un senso diverso alle giornate. La sua vita con Maude è bella, rara, curata, ma non è intensa. Maude non ride, non balla il tango, non pulsa di luce brillante, non si interessa delle sue passioni. Maude lo travolge con i racconti e le parole, e riempie le serate di conversazioni ricche e di intellettuali concettosi, non c’è noia, ma non c’è gioia.

Andrès ricorda, con gli occhi chiusi e il bicchiere tra le dita, le note di quel vals straziante, insolitamente lento nell’esecuzione, l’andirivieni della chitarra che torna e ritorna con la melodia sul tema principale, le voci delle due attrici, leggermente alte, che lacerano la sala buia con le parole della poesia di Manzi: “Te oí decir..adiós, adiós… Cerré los ojos y oculté el dolor… Sentí tus pasos cruzando la tarde y no te atajaron mis manos cobardes. Mi corazón, lloró de amor y en el silencio resonó tu voz, tu voz querida, lejana y perdida, tu voz que era mía… tu pálida voz.”

Il tango, la poesia, la passione, la vita.

Tutto lì, tutto lì dentro.

Nessuna vera ballerina con cui condividere l’emozione profonda dopo sua madre, dopo Sara. Nessuna buona ragione per sentire così forte e così dentro, la vita che scorre nelle vene.

Nessun raggio di sole caldo ad illuminare il grigio delle sue giornate interiori.

Andrès guarda il cellulare, per un attimo. Fissa il display dubbioso e decide di non telefonare a Maude.

Si alza, passa davanti al banco del bar, paga il suo drink ed esce nella sera a camminare contro il Danubio, verso il Ponte delle Catene, con le note del vals cantato impresse nella mente e una certa curiosa attesa di sapere se incontrerà qualcuno, stasera, in milonga.

 

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