Vai al contenuto

Quaranta capoversi

>>> and listen to dr strangelove’s right soundtrack>>>

La prima volta che ti ho visto ho pensato: adesso gli mordo il collo. Lo sai già vero? Sì, sto parlando di te. Tu, proprio tu, dottor stranamore.

Tu, che se mi chiedono di che colore hai gli occhi, rispondo che sono d’oro,

tu, con la tua testa liscia e il tuo sorriso pieno di vita,

tu, con quei disegni neri sulla pelle tesa, che più ne hai più ne vuoi, ma io dico che sei bello così.

Tu, che non hai mai freddo e dormi con la finestra aperta anche in pieno inverno,

tu, col tuo cognome impegnativo e il tuo carattere consonante,

tu: acuto, svelto e intelligente come un gatto selvatico

e contemporaneamente jazzista improvvisatore, perfettamente disorganizzato, nel tuo swing.

Tu che sbagli le parole quando vuoi dire le cose difficili, e saresti così bravo a dirle se non cercassi di trasformarti in uno Zanichelli ambulante.

Tu, che sei forte e solido come una quercia,

che sei dolce e premuroso come un leone appena diventato padre.

Tu, irascibile e violento come il Panagulis della Fallaci, impulsivo e incontenibile nelle reazioni,

tu, che sei umile, curioso, e impari davvero in fretta,

così ordinato e meticoloso che presumo che il tuo ascendente sia della Vergine.

Sì tu, sto parlando di te. Di te che sei loquace e affabile al punto da socializzare anche coi sassi (e le fidanzate arcigne dei miei vecchi colleghi dell’università),

di te che hai il cuore generoso e fiero, e quelle mani calde con cui accarezzi la testa dei cani e i pancioni delle donne che aspettano,

di te che sei tenace e testardo, e non saprei dire se questi sono pregi o difetti.

Parlo di te, e molto più spesso parlo con te, dolcissimo e ruvido dottor stranamore, davanti a una  bottiglia di Malbeck e al filetto argentino da Acqua e Farina.

Parlo con un uomo che ama moltissimo se stesso e cerca di insegnare anche a me come si fa, con fatica, tenacia e un po’ di necessaria esasperazione. Parlo con un uomo che ama moltissime cose che io quasi non sapevo cosa fossero.

Penso alla Roma, e non nel mitico senso della città eterna, ma dell’unica cosa che davvero ti distrae da tutto, della tua ancestrale ed inspiegabile passione e delle tue pellicine estirpate nella tensione del derby laziale (e non solo).

Penso allo sci, ed alla nostalgia con cui ricordi i bei tempi in cui a Ponte di Legno si andava tutti i fine settimana o al tuo Capodanno altoatesino di un paio d’anni fa.

Penso alla tua macchina, elegante e pulita come la tua mansarda, e a come davanti a quel volante ritrovi il centro di te e il senso delle cose.

Penso al tuo amore per l’ebbrezza e per la velocità, a quella moto brillante che ricordi con struggimento o al destriero nero e scomodissimo che cavalchi fiero, anche se non è all’altezza di quello che vorresti.

Penso (anche se no, non ci penso volentieri) al tuo rapporto con le donne, a come fai lo splendido per poi dire che era solo gentilezza, a come sei capace di sedurle tutte, senza esclusione di colpi, per appagare la tua incommensurabile vanità, e a come cerchi invano di passare inosservato (salvo poi, di fronte all’evidenza, farmi presente che sono uguale a te).

Poi penso alle donne della tua vita, e tra un’acca e una elle, mi viene in mente Lorenzina, e allora tutto il tuo amore e il tuo ardore prendono la strada giusta e hanno un senso e un’intensità che mi fa sorridere al solo pensiero.

E con tutto questo pensare, alla fine mi viene in mente il tuo modo di comunicare: intenso, a tratti frenetico. Quel modo che hai di dire le cose esattamente come ti vengono in mente, quando ti vengono in mente, e solo a chi pare a te. Anche al tavolo di una pizzeria egiziana frugalissima, con davanti una che non hai praticamente mai visto prima, tra un router e un altro, a raccontare chi sei.

Eh sì. il tuo modo di comunicare: a volte troppo, a volte troppo poco. Tu,

tu, che la sera ti addormenti sul divano

e poi la mattina alle cinque sei capace di svegliarti solo per vedere il GP.

Tu che ti alzi dal letto e dopo 10 minuti sei fuori di casa

ma riesci ad essere sempre bello come se dovessi fare le foto per una rivista di moda.

Tu che ami guardare i film, ma solo al cinema (o per caso su SKY)

tu che vorresti leggere, ma in fondo sei teledipendente.

Tu che sei sportivo e attivo, ma non ti piace camminare

tu, terribilmente imprudente e avventato,

ma con l’affetto non si scherza e su queste cose qui sei prudentissimo.

Tu che non parli mai con nessuno di te ma adesso che hai deciso, sventoli la notizia ai quattro venti,

tu, che “mi fai vivere e sentire ancora una persona nuova”

dimmi cos’è che mi fa ricordare un’autostrada d’inverno, la macchina che sfreccia, un freddo boia fuori, la tua mano sul cambio, tu, io e “baciami ancora”.

L’ultima volta che ti ho visto ho pensato che tutto il futuro che vedo lo voglio con te.

2 commenti su “Quaranta capoversi”

  1. Lo so benissimo cosa ci hai messo….ma io anche se tu la penserai diversamente, ci ho messo del mio!
    Non ti avrei mai parlato se tu non fossi importante per me!
    Le emozioni provate non e’ possibile trascriverle su carta, tu sei brava in questo, io no!

    Non ti avrei mai fatto la verità se non tenevo a te!

    ….

  2. Pingback: scrivere, leggere, rileggere | Fuori dal Guscio

Rispondi a Io Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *